La prima colonizzazione del territorio oggi chiamato Napoli risale al IX a.C., quasi 3000 anni fa, quando “mercanti e viaggiatori anatolici ed achei si affacciarono nel golfo per dirigersi verso gli empori minerari dell’alto Tirreno” e fondarono Partenope nell’area che include l’isolotto di Megaride (l’attuale Castel dell’Ovo) e il Promontorio di Monte Echia (l’odierna Monte di Dio e Pizzofalcone). Successivamente, dopo gli eventi bellici che videro gli autoctoni Oschi e Sanniti ribellarsi alla invasione greca, Partenope fu abbandonata e prese il nome di “Palepolis”(città vecchia). Nel 475 a.C. grazie agli abitanti di Cuma fu fondata Neapolis (città nuova) nella parte orientale della città originaria. La fondazione del capoluogo partenopeo viene infatti fatta risalire al 21 dicembre 475 a.C.

Si tratta, come è immaginabile, di una data simbolica che è stata stabilita con convenzione e credenze di altri tempi, cercando di ricreare un mito di fondazione per la storia della città. Gli antichi avevano la convenzione rituale di fondare le città, ponendo la prima pietra di una struttura, in concomitanza con fenomeni astrali ritenuti particolarmente rilevanti. La fondazione della città greca di Neapolis viene dunque stabilita in concomitanza con il solstizio d’inverno. I Cumani, che hanno fondato Neapolis per proteggersi dagli oschi etruschi, hanno scelto l’inizio di una stagione per iniziare – simbolicamente – anche la loro nuova città alla vita.

E così, quando nel 326 a.C. la potenza regionale di Roma si affaccia in Campania e attraverso la sua famosa politica delle alleanze locali invade e conquista l’intera Campania, il potere delle legioni di Roma, che mai per tutti i secoli dei secoli perdonerà i sanniti non di averli massacrati (come i cartaginesi a Canne) ma di averli umiliati lasciandoli vivi dopo la sconfitta e rimandati a casa dalle forche caudine e presi letteralmente a calci nel sedere con accompagnamento di fischi e pernacchi, preoccupati dalla risonanza della contemporanea leggenda di Alessandro Magno che stava conquistando tutto il mondo conosciuto e che era cugino di Alessandro il Molosso della achea Taranto, decidono di assicurare vita e prosperità alla greca Neapolis concedendole un “foedus equissimum” con vantaggi commerciali unici per molti secoli e scacciandosi quasi alla “pulizia etnica” gli autoctoni Oschi e Sanniti (da cui in napoletano “sciò” = ti caccio). Palepoli sparisce, resta e prospera Neapolis.

Il filosofo napoletano Giambattista Vico, a suo tempo, elaborò una teoria sulla storia umana assai singolare. Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se così si può dire, dalla Provvidenza. Questa formulazione di pensiero è comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In parole povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della Divina Provvidenza.

Motivo per il quale oggi, Ferragosto 2024, il potere romano congiunto al potere del vicereame salernitano ha scelto di concedere il massimo dei vantaggi economici alle lobby di potere dominanti (pochissimi e ricchissimi esseri umani grandi elettori e finanziatori più o meno occulti) dai gestori dell’aeroporto da 18 milioni di passeggeri all’anno sulla testa degli autoctoni residenti napoletani, ai gestori del Porto con oltre 10 milioni di passeggeri su navi sempre a motori accesi perché non si è mai elettrificato il Porto di Napoli e quando sarà si costruiranno pure enormi depositi di gas naturale liquefatto per fare esplodere completamente il centro storico. Ovviamente senza nulla togliere ai lucrosi vantaggi dei soli 2000 tassisti per trasportare oltre 23 milioni di utenti.

Mentre si festeggiano quindi gli eccezionali record di trasporti e passeggeri con oltre 22 milioni di passeggeri dell’overtourism napoletano, non si dice una sola parola sugli eccezionali record di incidenza e mortalità per cancro infarti e ictus da polveri sottili a danno dei cittadini napoletani residenti autoctoni, ormai meno di un milione e in costante diminuzione per la ”pulizia etnica” da inquinamento gravissimo e dalla scomparsa di case in centro storico. Tutto ciò pur disponendo la Campania dell’ottimo aeroporto di Grazzanise a soli 35 km dal centro storico di Napoli. Capodichino oggi calibra su 340-350 voli giornalieri contro i 20 di Pontecagnano in pieno centro storico e levando aria pulita persino al Real Bosco di Capodimonte.

Capodichino ha 240 ettari di pista da 2600 mt. Pontecagnano (vicereame di Salerno) ha 90 ettari di pista (in futuro 140), utili solo per pochi ricchi da costiera amalfitana e per portare ogni mattina la mozzarella di Battipaglia senza sale a Re Carlo III di Inghilterra. Ha una pista da 1960 mt, in futuro 2200 mt. A chi si oppone a Grazzanise: perché? Grazzanise ha una pista da 3000 mt e un potenziale sedime da 2000 ettari: diventerebbe l’aeroporto con il sedime più grande d’Italia, un vero aeroporto per la Campania. Dell’obiettivo di 20 milioni di passeggeri all’anno, il già esistente aeroporto di Grazzanise potrebbe servirne non meno di 9, scaricando come previsto da decenni il centro storico di Napoli e risparmiando la vita a non meno di due napoletani uccisi ogni giorno dalle polveri sottili di porto ed aeroporto, da soli responsabili di oltre il 40% delle pm assassine.

Ma ormai le lobby del potere del terzo millennio in pieno accordo tra potere di Roma e vicereame salernitano hanno scelto di procedere ad una progressiva riduzione sino a scomparsa degli autoctoni residenti napoletani, nel pieno rispetto della dinamica dei corsi e ricorsi storici di Giovanbattista Vico. Già, ma chi era Giovanbattista Vico? Chiediamolo al Ministro della Cultura.

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Fine vita, apertura della Chiesa: in Parlamento ci sono persone insensibili alla sofferenza

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