di Nadia D’Agaro

L’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change) è sempre stato molto chiaro nel sollecitare la popolazione mondiale verso “diete che implicano un minor uso di risorse”: “Le opzioni di mitigazione che limitano la domanda di suolo includono l’intensificazione sostenibile delle pratiche di uso del suolo, il ripristino degli ecosistemi e cambiamenti a favore di diete che implicano un minor uso di risorse.” Ipcc 2018, Sommario per i Decisori Politici, pag 18. (C.2.5)

Tali diete sarebbero le diete plant based, vegetariane e vegane. Ma se poco si è fatto per il ripristino degli ecosistemi, per quanto riguarda l’indirizzare la popolazione verso diete plant based si è addirittura andati in senso contrario. Nella percezione culturale comune e diffusa, la scelta vegetariana è una scelta sentimentale, mentre quella vegana è addirittura estremista, cioè pericolosa.

Analizziamo un momento l’impatto ambientale di una dieta plant based rispetto a una dieta onnivora. La biomassa degli animali allevati, secondo uno studio scientifico americano, The global biomass of wild mammals, Greenspoon L., 2023, supera ormai la biomassa degli umani, mentre la biomassa degli animali selvatici è praticamente irrisoria. Per la nutrizione umana e animale (degli animali allevati) si deforesta. Una consistente fetta dell’agricoltura mondiale è destinata al foraggio animale, non all’alimentazione umana.

L’industria lattiero-casearia non è meno devastante da un punto di vista ambientale di un allevamento intensivo di maiali. L’impronta idrica del latte vaccino è molto superiore rispetto all’impronta idrica delle bevande vegetali: perché la mucca, per produrre il latte, beve e mangia consumando acqua e suolo. Ma l’Iva delle bevande vegetali è al 22%, mentre l’Iva del latte vaccino è, qui in Italia, del 4%. Quindi in nessun modo è incoraggiata l’alternativa vegetale al latte.

Fra le specie animali, l’uomo è l’unico che beve il latte da adulto, e il latte vaccino è un allergene. Ma culturalmente, nessuno ha il coraggio di dire che bisognerebbe preferire un surrogato. Perfino il Papa, nell’enciclica Laudato sì, loda il Creato ma non spende una parola di pietà per le Creature non umane, accessori al servizio dell’uomo. Le mucche, come tutte le mamme, il loro latte lo darebbero più volentieri ai propri vitelli. Ma da quando esiste l’allevamento, cioè da un tempo assai remoto, lo forniscono agli umani. Questo però non cambia le cose: è un furto. Per parlare onestamente.

Quindi, dato il retaggio culturale millenario e la stagnante spiritualità occidentale, non c’è nessuna inversione di tendenza verso diete plant-based, né in Italia, né a livello globale per la verità. Con l’aumento del benessere, la domanda di carne è in crescita anche in paesi tradizionalmente vegetariani quali l’India. Ma secondo Philip Lymbery, “Restano solo 60 raccolti”, ed. Nutrimenti, 2023, prima della grande carestia globale. Ne parla anche il film documentario “Kiss the ground”, che indica nell’agricoltura rigenerativa, oltre che nel ripristino degli ecosistemi, e nella moderazione del consumo di proteine da fonti animali, un grande aiuto per la risoluzione della crisi climatica globale.

Attenzione: crisi climatica che diventerà crisi alimentare, disastro ambientale globale, se nulla verrà fatto in questa direzione. A voi considerazioni e commenti.

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