Ambiente & Veleni

Si parla di caldo torrido, non di crisi climatica: la società civile (cioè noi) è lasciata sola

Mercoledì 8 agosto è successo un fatto al tempo stesso inquietante e spettacolare. Una ragazza è stata trovata incosciente e con una temperatura corporea di 41 gradi nella sua casa di campagna in Piemonte. Il caldo ha innescato una reazione “danneggia organo” che ha messo fuori uso il suo fegato. E’ stata salvata all’ospedale Molinette di Torino con un trapianto veramente incredibile, eseguito con un intervento di otto ore.

Mi sembra un’immagine molto significativa di ciò che sta avvenendo. Mentre parte della politica, soprattutto governativa, è semi negazionista sul cambiamento climatico, e comunque si trastulla con temi assolutamente secondari oppure funzionali ai proprio interessi (vedi lo scudo salva governatori), la società civile nel frattempo agisce e fa tutto quello che può per arginare le conseguenze della crisi climatica, prima tra tutti un aumento progressivo e feroce delle temperature.

Da qualche tempo, e specialmente questa estate, sui giornali si legge spesso “ha avuto un malore per il caldo”, oppure “morto di caldo”. Si tratta in realtà di titoli, come ho avuto modo di scrivere su questo giornale, sbagliati, perché messi un po’ a casaccio. Ovvero, a differenza del caso piemontese, spesso si parla di malore da caldo solo perché fa caldo, senza aver capito prima la diagnosi e perché quella persona è davvero morta.

Tuttavia, pur in modo sbagliato e inaccurato, i giornali cercano di diffondere l’idea che di caldo ormai si possa concretamente morire. E purtroppo è così. Solo che, a differenza di altre cause, il caldo non si vede. Cioè sappiamo che fa caldo, anzi caldissimo, ma non è sempre facile valutare quale potrebbe essere l’impatto di un’alta temperatura su di noi. La percezione corporea spesso non basta, ci si può sentire normali, non avere sete eppure essere, ad esempio, totalmente disidratati, come accade di frequente per gli anziani.

Proprio il fatto che sembra essere un sintomo “vago” fa sì che le istituzioni ancora non prendano sul serio il fatto che di caldo, fuori di metafora, si può morire. Certo, ci sono i piani comunali anti-caldo, spesso delle barzellette, spesso più seri. Ma qui siamo di fronte ad un problema molto più ampio ed enorme: l’aumento delle temperature che non si ferma e che comincia ad avere effetti concreti e devastanti sui nostri corpi.

E’ un argomento angosciante, mi rendo conto, pure per me che ne scrivo. E tuttavia non è facendo finta di niente che si potrà contrastare almeno un po’ il problema. La verità è che i cittadini cercano dannatamente di adattarsi come possono: prenotano case vacanza con la piscina se possono, acquistano aria condizionata – ormai qualcosa per cui ci si indebita -, cercano di lasciare le città. Insomma, fanno ciò che possono. Ma la cosa preoccupante è che anche la politica sembra cercare una sorta di adattamento personale senza prendere in considerazione la gravità della situazione.

Eppure il “gran caldo”, come si chiama con un eufemismo, ovvero le temperature sempre più torride, restano il tema dei temi. Perché purtroppo possiamo adattarci fino a un certo punto e questo punto è stato quasi raggiunto. Perché comunque non tutti riescono ad adattarsi, specie i più poveri e vulnerabili (quanti anziani muoiono in casa per il caldo senza che nessuno lo sappia?). Insomma dovrebbe essere l’apertura dei giornali e anche l’ordine del giorno di tutte le istituzioni. Invece leggiamo articoli e servizi sul meteo, ma ancora poco o nulla che colleghi questo caldo con la crisi climatica e con le sue cause: ovvero l’utilizzo di combustibili fossili e le emissioni di CO2 causate da tutte le azioni umane, dai trasporti all’alimentazione.

Se questo messaggio fosse ripetuto ogni giorno, se ad ogni articolo sul meteo si legasse un altro pezzo sui responsabili della crisi climatica, senza sconti, allora sarebbe più facile per tutti capire perché stiamo così male. Le persone saprebbero chi incolpare e anche come agire in qualche modo a livello civile (voto, etc), le istituzioni e il governo sarebbero chiamate in causa molto più di quanto non avvenga oggi e sarebbe per loro molto più difficile evitare di giustificare perché non si faccia nulla per contrastare questa gravissima situazione. Sarebbero costrette in qualche modo ad agire.

I colpevoli, insomma, siamo come sempre noi, la stampa e insieme la politica. Cioè chi ha più leve per cambiare le cose e non lo fa. Nel frattempo, come dicevo nell’incipit, la gente fa quello che può, i sanitari e i medici anche, tutta la società civile anche. Ma lasciare su essa il peso enorme del più grande dei problemi è davvero ingiusto. E, soprattutto, lascia i più deboli e vulnerabili esposti al peggio.