Non c’erano molti dubbi sul fatto che sarebbe stata la loro Olimpiade. Anzi, sarebbe stato strano pensare il contrario. Ma è servito riunire i giocatori più dominanti degli ultimi 15 anni (LeBron James, Stephen Curry e Kevin Durant su tutti) per poter scacciare i fantasmi di un Mondiale fallimentare (sì, perché se non arrivano primi in ogni competizione, in America è considerato fallimento). Team Usa vince l’oro olimpico contro la Francia di Wembanyama (a proposito di fenomeni), senza però stravincere. Una linea che ha tracciato il percorso di coach Steve Kerr e dei suoi ragazzi in questi Giochi Olimpici. Un approccio diverso ma comunque efficace. E soprattutto maturo. I larghi successi sono ormai un lontano ricordo: il livello europeo (e non solo) è notevolmente aumentato negli ultimi anni e se per vincere il quinto oro olimpico consecutivo sono servite quattro triple consecutive (senza senso) di Curry nel finale, forse qualcosa sta davvero cambiando. Alla fine vincono loro (come da pronostico), ma non con la stessa sicurezza e irriverenza di sempre. E gli Avengers – così si sono voluti far chiamare – l’hanno capito rispondendo da campioni. Non solo a parole, ma sul campo.

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Steph Curry decisivo: un finale che lo rende immortale
Buonanotte a tutti. Due minuti e 47 secondi che vanno contro ogni logica. La Francia era a un solo possesso di svantaggio, poi è cambiato il panorama. Dodici punti consecutivi, quattro triple da nove metri in ogni modo possibile. Stephen Curry è immarcabile e senza senso. E l’ultima conclusione – tirando sbilanciandosi verso destra e con due avversari a marcarlo – ha sorpreso davvero tutti, lui compreso: “Ho visto soltanto il ferro, e non chi avessi davanti a me. Sapevo che stavano per scadere i 24 secondi. Ma mi sono stupito anche io di me stesso“. Una prestazione che difficilmente verrà dimenticata: la semifinale contro la Serbia, e gli ultimi minuti della finale contro la Francia hanno ricordato (per chi ancora non si fosse convinto) il motivo per cui Steph Curry non c’entra nulla con il resto. Un giocatore dal fisico “normale” in grado di rivoluzionare per sempre una disciplina sportiva. Dominando contro chiunque. Era partito con il freno tirato e con prestazioni sottotono: dopo aver tirato (male) 5/20 nelle prime quattro gare olimpiche, Steph Curry chiude con un 17/26 da tre punti. E se Team Usa è campione olimpico per l’ennesima volta, il merito è suo.

LeBron MVP, Durant al quarto successo: la chiusura di un cerchio
La chiusura di un cerchio. LeBron James dice addio alla sua esperienza con la maglia della nazionale nello stesso modo in cui l’aveva iniziata: vincendo. Il primo nella storia a trionfare alle Olimpiadi in tre diversi decenni. E come se non bastasse arriva anche il premio di Mvp, per un quasi 40enne che non smette di stupire. Non è solo una presenza simbolica la sua, ma è determinante in campo – leader in punti, rimbalzi e assist – e per il gruppo: una figura che, dopo anni di critiche e polemiche, viene riconosciuta da tutti i suoi colleghi. Portabandiera e capitano di una nazionale che non conosce la parola sconfitta. E poi c’è Kevin Durant che tocca quota quattro successi olimpici, leader silenzioso ma sempre presente nel momento del bisogno, anche in condizioni fisiche non ottimali. Insieme a Curry, tre punti fermi di un’intera generazione. L’arena li acclama, i tifosi li hanno voluti, e loro hanno scelto di esserci, insieme. Per l’ultima volta.

Un nuovo approccio
Serviva assemblare i più forti per sconfiggere i colossi europei. L’Nba insegna: se gli Mvp delle ultime stagioni regolari non sono stati americani un motivo ci sarà. Qualcosa sta cambiando e l’Olimpiade ne è una conferma: addio alle vittorie dallo scarto superiore ai 40 punti. Partite vere e combattute: Serbia e Francia insegnano. Presi individualmente il paragone ancora non regge (vedi l’ultimo quarto di onnipotenza cestistica contro la Serbia) ma il livello del basket europeo si è notevolmente alzato per un livello di competitività mai visto prima. Niente più passerelle, si gioca per davvero: non è stata dunque la solita spocchiosa e irriverente America. Anzi, LeBron e compagni hanno riconosciuto il valore degli avversari prendendo l’impegno sul serio.

Gli Stati Uniti avrebbero comunque vinto ma, farlo in questo modo ridimensiona la loro spedizione olimpica attribuendo il vero valore di una medaglia che si dava per certa ancora prima di entrare in campo. E alla fine l’oro è arrivato, ma senza cadere nella sfacciataggine. I festeggiamenti e le esultanze lasciano il tempo che trovano: l’animo americano è rimasto. E sarebbe stato insolito se non fosse stato ancora così.

Il successo sta anche nelle piccole cose
Come 12 amici che si ritrovano la sera sotto casa: ma allora sono persone come noi. Lontani dai riflettori, dai flash delle videocamere. Una foto genuina per festeggiare insieme sulla scalinata fuori dalla Bercy Arena. In un ambiente che poco ha a che vedere con l’esagerazione e lo sfarzo americani. Team Usa ha dimostrato che si può vincere anche rimanendo umili nelle piccole cose. A differenza di quello che la loro narrativa ha sempre voluto far credere.

Records are meant to be broken, I’ll hold on to this until another great comes along and passes me up…Lisa Leslie you are the gold standard in basketball, I appreciate your love and support throughout the years..much love to you always…it’s all about the gold baby. Let’s get… pic.twitter.com/huJxy8Qywa

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