La fine degli imperi che hanno dominato la storia è avvenuta con diverse avvisaglie, per poi concretizzarsi in passaggi simbolici che hanno funzionato da spartiacque. L’ultimo, cui molti di noi per età, hanno assistito è la fine dell’impero Urss, che dopo innumerevoli scricchiolii si è appalesata simbolicamente nel 1989 con l’abbattimento del muro di Berlino. Fortunatamente non si è trattato di un cambio cruento con guerre o distruzioni, ma ora stiamo assistendo alle conseguenze più nefaste con lotte fratricide fra etnie presenti nella stesso impero/nazione divise per cultura, lingua modello di riferimento ideologico e appoggi militari.

La domanda che in questi giorni mi faccio e faccio al lettore è se, senza rendercene completamente conto, non stia avvenendo lo stesso con l’impero statunitense o per meglio dire yankee. Con questo termine, che è un soprannome un poco ironico/dispregiativo, si connota l’egemonia economica, militare, culturale, politica e ideologica che per una ottantina di anni hanno esercitato nazioni in cui la componente sociale aveva una più o meno diretta derivazione dal vecchio impero britannico. Stati Uniti come fulcro, ma come corollario molte altre nazioni dalla Gran Bretagna al Canada, fino all’Australia. L’Europa non anglosassone risultava di supporto in una sorta di protettorato al pari di altre nazioni come il Giappone, la Corea del sud e alcune sudamericane.

Questo impero era ed è politico attraverso l’esportazione del sistema democratico, che risulta, come recita l’aforisma, “la migliore delle peggiori forme di governo”, ma che, purtroppo, negli ultimi anni pare soccombere sotto il peso del populismo. L’egemonia economica potrebbe essere intaccata dalla prospettiva di valute alternative al dollaro progettata dai paesi Brics e dal peso di debiti pubblici molto elevati che si reggono proprio perché questa moneta è ancora egemonica nelle transazioni internazionali.

Lo strapotere militare di fronte alle “nuove guerre” condotte in territori urbani con nuovi mezzi non lascia più l’impero tranquillo. Soprattutto non appare chiaro a cosa servano migliaia di bombe nucleari quando già “solo” cento sarebbero in grado di distruggere la vita sulla terra per qualche millennio. Si tratta di un “surplus” che non conferisce sicurezza ma, al contrario, dimostra come siano armi “inutilizzabili” (speriamo), lasciando spazio libero a chi vuole condurre le guerre convenzionali come è avvenuto nella bruciante sconfitta afghana. Gli imperi come qualsiasi elemento vivente tendono a non rimanere statici ma per vivere devono espandersi. L’alternativa all’espansione è il progressivo rinsecchimento. Stiamo assistendo al fatto che poche nuove nazioni vogliono avvicinarsi per appartenere all’impero occidentale.

La crisi più profonda a mio avviso è sul piano ideologico-culturale. Per decenni l’occidente ha rappresentato un faro di innovazione, ricerca scientifica e libertà di pensiero. Fortunatamente ancora oggi molte eccellenze permangono in questa area di sviluppo, ma si intravedono modelli culturali e centri di ricerca e innovazione in altre parti del mondo. Purtroppo lo strapotere del sistema delle vendite ad ogni costo ha portato il giovane occidentale ad essere sottoposto nel corso della sua infanzia e giovinezza a miliardi di spot pubblicitari. Questo bombardamento nelle menti dei nostri giovani diviene fonte distruttività della funzione desiderante e manipolazione della progettualità rispetto alla propria esistenza.

Certamente masse enormi di persone vogliono ancora recarsi nell’impero occidentale e nelle sue propaggini per garantirsi una vita economicamente migliore, ma molti di essi ne rifiutano i valori. Quando si è inseriti in un cambiamento storico, presumibilmente, non si riescono a scorgere gli elementi più rilevanti che sono in divenire. Allo stesso tempo può succedere che certe difficoltà vengano amplificate. Per questi motivi in me prevalgono i dubbi sulle certezze. Sono però interessato a porre l’interrogativo che ho formulato all’inizio di questo post ai lettori: stiamo realmente vivendo la crisi dell’impero imperniato sugli Stati Uniti d’America?

Il programma elettorale di uno dei due candidati per la futura presidenza che recita il motto “America first” sembra preludere a una chiusura verso il resto del mondo con il retropensiero che ognuno deve cavarsela da solo. Un periodo di egemonia economica, politica e militare quando tende a sgretolarsi lascia un vuoto in cui, naturalmente, si inseriscono nuove organizzazioni nazionali o sovranazionali che gradualmente tendono a divenire egemoni e a formare un nuovo impero. La seconda domanda che consegue alla prima è quindi: quale altra struttura nazionale o sovranazionale si può immaginare all’orizzonte come alternativa all’impero yankee? Si può ipotizzare una struttura di potere più diffuso fra vari gruppi di paesi? O invece c’è il fondato rischio di disgregazione con conseguenti guerre locali non più tenute sotto controllo dal potere imperiale?

Mi viene in mente la fase adolescenziale della vita di un ragazzo. Il potere esercitato, nel bene e nel male, dai genitori tende ad essere messo in discussione. L’adolescente non si sente più di seguire le indicazioni del padre e della madre, ma prova a farcela da solo. Deve affrontare diversi rischi che a volte appaiono difficili da superare. Se tutto va bene non avrà più bisogno dello sguardo protettore dei genitori ma, in alcuni casi, cade preda di gravi errori che lo portano alla distruzione personale (incidenti stradali, uso di droghe, risse) o a serie difficoltà (gravidanze indesiderate, malattie, traumi). Le nazioni che si sono lentamente formate in quel lasso di tempo che conosciamo dai libri di storia sono come un adolescente. Forse in grado di affrontare da sole il nuovo mondo senza un impero che detti delle regole? O avrebbero ancora necessità di una struttura imperiale che funga da genitore per evitare problemi più gravi?

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