Olimpiadi Parigi 2024

Il trionfo nel volley e il record di medaglie eguagliato, ma anche quarti posti e delusioni: cos’è andato e cosa no nell’avventura azzurra a Parigi

A Parigi 2024 l’Italia ha conquistato quaranta medaglie (12 ori, 13 argenti, 15 bronzi) tante quante a Tokyo nel 2021: la differenza è qualitativa, con due ori e tre argenti in più, mentre i bronzi sono stati cinque in meno. Dalla vittoria "politica" delle pallavoliste alle scorie del caso Khelif-Carini, un bilancio ragionato dei Giochi

Una straordinaria Italvolley conquista il 12esimo oro italiano a questi Giochi Olimpici di Parigi 2024 dominando (peggio: devastando) le campionesse olimpiche statunitensi con un secco 3-0 (25-18; 25-20; 25-17). Il successo, dai molti e profondi significati, va oltre il mero risultato sportivo: è stato infatti il trionfo di un collettivo in cui ogni schiacciata poderosa di Paola Egonu, la migliore giocatrice del torneo e del mondo, e quelle altrettanto velenose di Myriam Sylla, erano formidabili smash contro il razzismo, gli insulti e l’odio in Rete da esse costantemente subìti, per il colore della pelle, perché “non pure italiane”, perché “donne libere”, come rivendica fieramente Paola affermando la sua bisessualità. Troppo, per certa gente che vive nel nostro Paese. Pensiamo a quel che ha scritto il generale Roberto Vannacci, ora deputato europeo (sigh!) per la Lega, nel suo “Il mondo al contrario”, contestando proprio alla Egonu la sua “italianità”. Due anni fa Paola era scappata dall’Italia, nonostante la solidarietà di Mario Draghi, andando a giocare in Turchia. Il suo malessere era squassante. A Vanity Fair confidò, all’inizio del 2023: “Se mio figlio avrà la pelle nera, so già che proverà il disgusto che io ho dovuto provare. Se dovesse essere meticcio, sarà ancor peggio: lo faranno sentire troppo nero per i bianchi e troppo bianco per i neri”.

La gloria del volley – L’oro dell’Italvolley è assai politico, e solo Julio Velasco, il grande profeta della pallavolo, ha saputo interpretare e rielaborare positivamente il ruolo di Paola, favorendo il suo rientro in squadra, appianando vecchie ruggini, ricostruendola psicologicamente. Nel giro di pochi mesi, la Egonu ha fatto un gigantesco salto di qualità. Ha raggiunto un livello stratosferico. A giugno trascina l’Italvolley femminile alla conquista della Nations League. Le polemiche vannacciane e dei leghisti non la turbano più: le vuole sconfiggere con le vittorie di un collettivo in cui è rappresentata la nuova Italia che ancora troppi si ostinano a non volere vedere, tantomeno capire. Ecco, questo è il grande e vero bilancio della spedizione italiana olimpica. Un oro contro chi non vuole l’integrazione. Dunque, momento di gloria. Ma abbiamo avuto anche momenti di tristezza. Il sublime orgoglioso addio forzato e malinconico di Gianmarco Tamberi. Il volto corrucciato di Marcell Jacobs che si sarebbe divorato Filippo Tortu perché nella staffetta aveva ricevuto il testimone da Lorenzo Patta in seconda posizione ma è crollato nel finale, arrivando quarto a sette centesimi dal bronzo. Poi Jacobs ha mitigato la rabbia: “Si vince e si perde insieme”. Per fortuna Tortu ha ammesso di stare malissimo. Semmai, la colpa è di chi l’ha voluto schierare lo stesso.

Le delusioni dell’atletica – E ora parliamo di numeri. A Parigi 2024 l’Italia ha conquistato quaranta medaglie (12 ori, 13 argenti, 15 bronzi) tante quante a Tokyo nel 2021: la differenza è qualitativa, con due ori e tre argenti in più, mentre i bronzi sono stati cinque in meno. Qualcuno aggiunge i 25 quarti posti, che confermano una qualità media elevata. Ma a Tokyo c’erano 384 atleti, a Parigi 403. E c’erano stati i prestigiosi trionfi di Jacobs, campione olimpico dei cento metri, la gara vetrina dei Giochi, quella di Gianmarco Tamberi nel salto in alto che l’aveva preceduta di una ventina di minuti, lo stupefacente successo della staffetta 4×100, le vittorie nella marcia di Massimo Stano e Antonella Palmisano. A Parigi l’atletica italiana ha deluso le aspettative, anzi, per certi versi è stato un muro del pianto: a parte Tamberi, sconfitto dalle coliche più che dagli avversari non in gran spolvero (fosse stato bene se li sarebbe cucinati a puntino), c’è stato un Jacobs dignitoso ma non dominante come in Giappone, nella marcia tanta pena e la staffetta ha perso il podio perché chi la prepara si è ostinato a schierare Filippo Tortu in ultima frazione, quando era un anno che lo sprinter non combinava nulla. Scelta conservativa e perdente. Per fortuna, Nadia Battocletti ha dimostrato che i due titoli europei di Roma non erano casuali. Sui cinquemila ha sfiorato il bronzo, ma nei diecimila ha sfiorato invece la clamorosa vittoria, perdendo l’oro in volata, per un decimo. Lei è il futuro. Come lo è quello del giovane Mattia Furlani, 19 anni e medaglia di bronzo nel lungo, a due piccoli centimetri dall’argento. Flop terribile, la controprestazione in finale del pesista Leonardo Fabbri, che non ha saputo reagire ad un errore, normale routine nei lanci. Alibi non degno ai suoi livelli.

Nuoto e scherma, luci e ombre dagli azzurri – L’atletica è lo sport più popolare dei Giochi: 2.132 partecipanti (1.091 uomini, 1.041 donne). Segue il nuoto (857, 464 uomini e 393 donne). Nel nuoto italico alti e tanti bassi: l’oro sul filo dei centesimi di Nicolò Martinenghi, quello cocciuto di Thomas Ceccon, il bronzo di Gregorio Paltrinieri, quello della fondista Ginevra Taddeucci che ha nuotato per dieci chilometri nella Senna dei batteri fecali (l’ossessione di questi Giochi, spacciarla come la spiaggia di Parigi…), e quello della staffetta veloce. Poi i malinconici quarti posti di Benedetta Pilato (che non ha frignato) e di Simona Quadarella che ha pianto non sapendo domare la delusione. Delusione arrivata anche dal quarto posto di Domenico Acerenza e dal nono di Gregorio Paltrinieri, i quali erano accreditati di ben altri piazzamenti, nella maratona del nuoto, in quelle acque della Senna che loro due hanno contestato sino all’ultimo. Pure nella scherma, solitamente la nostra cassaforte del medagliere, tante sconfitte, salvo l’oro nella spada femminile di Alberta Santuccio, Giulia Rizzi, Rossella Fiamingo e Mara Navarria. Di solito l’Italia svettava, e il ranking mondiale ci incoronava come i più forti. Questa volta siamo arrivati solo sesti, con un oro, tre argenti e un bronzo, preceduti da Francia, Hong Kong, Sud Corea, Usa e Giappone. Mai successo prima: lontani i tempi di quando Edoardo Mangiarotti conquistava sei ori, come Valentina Vezzali e Nedo Nadi.

Lo spettacolo della ginnastica e il caso Khelif-Carini – Se abbiamo smarrito l’arte della scherma, abbiamo trovato quella più leggiadra ma molto più spettacolare della ginnastica: oro alla trave della genovese Alice D’Amato, argento (!) della squadra di ginnastica artistica dietro agli Usa dell’onnipotente Simone Biles, bronzo di Manila Esposito: Italia sesta, in un territorio assai competitivo. E un bel bronzo è pure quello delle “farfalle” nella ginnastica ritmica: sacrifici bestiali (e polemiche: ricordate le accuse di due ex Farfalle azzurre che avevano denunciato “violenze ed umiliazioni per non farci mangiare”?) ripagati con un buon terzo posto. Forse meritavano di più. Ma è stata l’Olimpiade di arbitri e giudici poco teneri con l’Italia soprattutto nella scherma, nel judo (ma Alice Bellandi ha vinto un oro) e nel pugilato, dove il disastro è stato totale e la pugile Angela Carini se l’è presa con l’algerina Imane Khelif per i suoi valori alti (ma non illeciti) di testosterone: “Mi ha fatto male!”, ha detto, mollando l’incontro dopo appena una quarantina di secondi e una parodia di boxe. Le altre avversarie dell’algerina hanno combattuto e perso, le hanno prese senza tante storie, anche l’ungherese che l’aveva insultata in Rete. La sconsiderata scelta della Carini (chi gliel’ha insufflata?) con l’appoggio di Giorgia Meloni, si è rivelata un boomerang sia d’immagine che politico. Dietro Khelif, che poi ha vinto l’oro, c’è tutta l’Algeria ed il suo orgoglio, nonché la sua rivendicazione di essere una donna, anche se più forte di tutte le altre. Se le regole del Cio lo consentono, Imane ha ragione. Per questo ha sporto denuncia per molestie. Inoltre, Algeri non perdonerà tanto facilmente Roma (pensiamo al gas e al petrolio che ci vende: magari alzerà i prezzi…).

Bene tennis, canoa e canottaggio – Passiamo ad altro. Al tennis. A Jannik Sinner che ha disertato i Giochi, ufficialmente per problemi di tonsillite (le ha appena buscate da Rublev al torneo di Montreal), mentre tutti i grandi si sono scontrati al Roland Garros in versione cinque cerchi (grande incontro tra Djokovic e Alcaraz in finale, con il serbo in lacrime per l’emozione del successo). Nonostante la discussa “sinnerata” che ha imbufalito il web, Sara Errani e Jasmine Paolini hanno vinto il doppio, mentre Lorenzo Musetti si è portato via il bronzo. E ottima è stata pure la vela dove, unici dei nostri campioni olimpici uscenti a questi Giochi, Ruggero Tita e Caterina Banti hanno replicato con autorevolezza il trionfo di Tokyo (non si è quattro volte campioni del mondo per caso), mentre Marta Maggetti ha vinto nel windsurf. Per non parlare del ciclismo: dall’argento di Ganna, bronzo dell’inseguimento, all’oro soprattutto della Madison femminile a coppia, con Chiara Consonni e Vittoria (nomen—-omen) Guazzini. Infine, la canoa: Giovanni De Gennaro ha fatto suo il complicato slalom, Carlo Tacchini e Gabriele Casadei l’argento nel coppia 500. Quanto al canottaggio, due argenti: Giacomo Gentili, Luca Chiumento, Andrea Panizza, Luca Rambaldi nel quattro di coppia e il duo Stefano OppoGabriel Soares nel due di coppia pesi leggeri. E non voglio dimenticare il prezioso contributo dei tiratori Diana Bacosi e Gabriele Rossetti che con l’oro hanno salvato la spedizione dei nostri cecchini un tempo infallibili.

Il bilancio dei giochi – Senza fare l’elenco della spesa ma giustamente compilando quello dei campioni olimpici azzurri, l’Italia si è piazzata nona nel medagliere, dominato da Cina e Stati Uniti, con Giappone terzo, Australia quarta e i padroni di casa francesi ottimi quinti, davanti all’Olanda, 18 milioni di abitanti, appena 275 atleti a questi Giochi ma capaci di 15 ori, sette argenti e 12 bronzi. No comment. I Paesi Bassi precedono la Gran Bretagna e la Corea del Sud, Paesi che avremmo potuto scavalcare se la marcia, la scherma, il nuoto e il tiro non avessero tradito aspettative e pronostici. A Los Angeles nel 1984 il bottino fu di 14 ori (sei argenti e 12 bronzi che ci issarono al quinto posto, ma furono i Giochi del boicottaggio). A Roma 1960, Atlanta 1996 e Sydney 2000 gli ori furono 13, come ad Anversa nel 1920. Ogni volta, con spedizioni meno affollate (e costose) di questa parigina. Per chiudere, segnalo che 62 Paesi su 205 hanno vinto almeno un oro e 91 almeno una medaglia di bronzo. Lo sport è sempre più globale e sorprendente per i suoi inattesi incroci geopolitici. Il Pakistan che vince la gara di giavellotto davanti ad un atleta dell’India. La finale di pallanuoto fra Croazia e Serbia, accaniti e sanguinari nemici dopo la dissoluzione della Yugoslavia. I successi ucraini, specie quello nel salto in alto femminile della splendida Jaroslava Mahucich, il rispetto (anche se con fischi) degli atleti israeliani (un oro, cinque argenti, un bronzo) e il tifo per gli otto palestinesi, ma anche la cecità del regolamento Cio applicato inflessibilmente nei confronti della concorrente afgana di breakdance che ha sfoggiato sulle spalle una scritta: “Free Afghan Women”, donne afghane libere. L’hanno squalificata.