A Palermo anche il gelato è un affare di Cosa nostra. Per gli investigatori della procura, infatti, la mafia aveva messo le mani su Brioscià, una catena di gelaterie molto nota in città. Un marchio conosciuto, che però – secondo l’inchiesta – era riferibile a Michele Micalizzi, storico capomafia della famiglia di Partanna Mondello.
Dopo vent’anni trascorsi in carcere, Micalizzi era tornato libero nel 2015 e si è messo a fare affari nel capoluogo siciliano. Insieme al vecchio boss, oggi 75enne, i finanzieri del Comando provinciale di Palermo hanno arrestato anche Mario Mancuso, imprenditore del settore delle gelaterie. La procura guidata da Maurizio De Lucia ha ottenuto anche il sequestro di oltre 1,5 milioni di euro. Le accuse, a vario titolo, sono di concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e bancarotta fraudolenta. Sei in tutto gli indagati nell’inchiesta della Dda di Palermo che ha disposto anche perquisizioni in abitazioni e luoghi a disposizione dei sei.
I soldi dei gelati per i detenuti – Secondo quanto emerso delle indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, Micalizzi “avrebbe esercitato un pervasivo potere di controllo sull’attività commerciale, intervenendo in prima persona sia nella scelta del personale da assumere che delle strategie da perseguire a livello aziendale. Il tutto in virtù di un profondo legame fiduciario da cui anche l’imprenditore avrebbe tratto significativi benefici economici, consistiti nella possibilità di espandere sul territorio la propria rete commerciale, anche attraverso la costituzione di nuove imprese in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società, intervenuta nel 2021″. Il legame tra il boss Micalizzi e Mancuso è confermato dai diversi “interventi” del capomafia per risolvere questioni private dell’imprenditore, nella ricerca di fonti di finanziamento e di nuovi locali per l’apertura di ulteriori punti vendita, oltre “a garantirgli la necessaria protezione rispetto a richieste estorsive avanzate da altri esponenti mafiosi”. L’operatività delle gelaterie, inoltre, sarebbe stata “fortemente condizionata dalla necessità di assicurare continui utili al sodalizio mafioso, destinati, tra l’altro, al sostentamento dei detenuti e dei loro familiari“. Questa gestione, evidenziano gli investigatori, avrebbe inciso notevolmente sulla situazione finanziaria della società poi fallita. Dai conti, infatti, sono emerse vari prelievi di denaro “privi di giustificazione” per un importo complessivo di 1.511.855,60 euro. I soldi dei gelati servivano per mantenere la cosca.
Chi è Micalizzi – Michelizzi è un nome storico nella geografia di Cosa nostra a Palermo. Suo suocero era Rosario Riccobono, vecchio capomafia di Partanna Mondello. Grosso narcotrafficante legato alla vecchia mafia di Stefano Bontade, durante la guerra di mafia si schierò con i corleonesi. Questo netto tradimento, indusse Totò Riina a non fidarsi di lui, condannandolo a morte subito dopo la fine della guerra. Il 30 novembre del 1982, Riccobono e alcuni suoi fedelissimi caddero in un tranello: invitati a pranzo a casa di Bernardo Brusca a San Giuseppe Jato, vennero strangolati. I loro corpi vennero infilati in alcuni bidoni colmi di acido, il cui contenuto venne poi svuotato in un canale di scolo. Quel giorno vennero uccisi anche il fratello di Micalizzi, Salvatore, suo cognato Salvatore Lauricella e il padre di quest’ultimo, Giuseppe. In poche ore Riina, in pratica, decimò il clan Riccobono: tra Palermo e le sue borgate marinare vennero assassinati molti altri uomini della famiglia mafiosa di Partanna Mondello. Quel giorno anche Michele Micalizzi doveva morire, ma scampò all’agguato dei corleonesi al bar Singapore two di via La Marmora.
Il ritorno del boss – Sfuggito all’omicidio, dopo aver perso i parenti più potenti, Micalizzi si diede alla fuga: lasciò Palermo, come molti altri mafiosi passati alla storia come gli “scappati”. Venne in seguito arrestato e condannato anche per omicidio. Poi, dopo più di vent’anni di pena, è uscito dal carcere: all’inizio si era stabilito a Firenze, da dove aveva cominciato a fare affari. Business che riguardava anche Palermo: dal 2017, l’anno della morte di Riina, sembra essere decaduto il divieto di residenza per gli “scappati” imposto dal capo dei capi. Tornato nel sua città, Micalizzi aveva ripreso il comando del mandamento di Partanna Mondello: per questo motivo era stato arrestato di nuovo già nel luglio scorso. Adesso gli investigatori mettono nero su bianco come fosse riuscito a mettere le mani su un settore insospettabile: quello dei gelati. La vecchia mafia, dunque, è tornata a fare business. Resta da capire con quali soldi.
Mafie
“A Palermo il gelato lo fa Cosa nostra”: arrestato il boss Micalizzi, sequestrati 1,5 milioni di euro
A Palermo anche il gelato è un affare di Cosa nostra. Per gli investigatori della procura, infatti, la mafia aveva messo le mani su Brioscià, una catena di gelaterie molto nota in città. Un marchio conosciuto, che però – secondo l’inchiesta – era riferibile a Michele Micalizzi, storico capomafia della famiglia di Partanna Mondello.
Dopo vent’anni trascorsi in carcere, Micalizzi era tornato libero nel 2015 e si è messo a fare affari nel capoluogo siciliano. Insieme al vecchio boss, oggi 75enne, i finanzieri del Comando provinciale di Palermo hanno arrestato anche Mario Mancuso, imprenditore del settore delle gelaterie. La procura guidata da Maurizio De Lucia ha ottenuto anche il sequestro di oltre 1,5 milioni di euro. Le accuse, a vario titolo, sono di concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e bancarotta fraudolenta. Sei in tutto gli indagati nell’inchiesta della Dda di Palermo che ha disposto anche perquisizioni in abitazioni e luoghi a disposizione dei sei.
I soldi dei gelati per i detenuti – Secondo quanto emerso delle indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, Micalizzi “avrebbe esercitato un pervasivo potere di controllo sull’attività commerciale, intervenendo in prima persona sia nella scelta del personale da assumere che delle strategie da perseguire a livello aziendale. Il tutto in virtù di un profondo legame fiduciario da cui anche l’imprenditore avrebbe tratto significativi benefici economici, consistiti nella possibilità di espandere sul territorio la propria rete commerciale, anche attraverso la costituzione di nuove imprese in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società, intervenuta nel 2021″. Il legame tra il boss Micalizzi e Mancuso è confermato dai diversi “interventi” del capomafia per risolvere questioni private dell’imprenditore, nella ricerca di fonti di finanziamento e di nuovi locali per l’apertura di ulteriori punti vendita, oltre “a garantirgli la necessaria protezione rispetto a richieste estorsive avanzate da altri esponenti mafiosi”. L’operatività delle gelaterie, inoltre, sarebbe stata “fortemente condizionata dalla necessità di assicurare continui utili al sodalizio mafioso, destinati, tra l’altro, al sostentamento dei detenuti e dei loro familiari“. Questa gestione, evidenziano gli investigatori, avrebbe inciso notevolmente sulla situazione finanziaria della società poi fallita. Dai conti, infatti, sono emerse vari prelievi di denaro “privi di giustificazione” per un importo complessivo di 1.511.855,60 euro. I soldi dei gelati servivano per mantenere la cosca.
Chi è Micalizzi – Michelizzi è un nome storico nella geografia di Cosa nostra a Palermo. Suo suocero era Rosario Riccobono, vecchio capomafia di Partanna Mondello. Grosso narcotrafficante legato alla vecchia mafia di Stefano Bontade, durante la guerra di mafia si schierò con i corleonesi. Questo netto tradimento, indusse Totò Riina a non fidarsi di lui, condannandolo a morte subito dopo la fine della guerra. Il 30 novembre del 1982, Riccobono e alcuni suoi fedelissimi caddero in un tranello: invitati a pranzo a casa di Bernardo Brusca a San Giuseppe Jato, vennero strangolati. I loro corpi vennero infilati in alcuni bidoni colmi di acido, il cui contenuto venne poi svuotato in un canale di scolo. Quel giorno vennero uccisi anche il fratello di Micalizzi, Salvatore, suo cognato Salvatore Lauricella e il padre di quest’ultimo, Giuseppe. In poche ore Riina, in pratica, decimò il clan Riccobono: tra Palermo e le sue borgate marinare vennero assassinati molti altri uomini della famiglia mafiosa di Partanna Mondello. Quel giorno anche Michele Micalizzi doveva morire, ma scampò all’agguato dei corleonesi al bar Singapore two di via La Marmora.
Il ritorno del boss – Sfuggito all’omicidio, dopo aver perso i parenti più potenti, Micalizzi si diede alla fuga: lasciò Palermo, come molti altri mafiosi passati alla storia come gli “scappati”. Venne in seguito arrestato e condannato anche per omicidio. Poi, dopo più di vent’anni di pena, è uscito dal carcere: all’inizio si era stabilito a Firenze, da dove aveva cominciato a fare affari. Business che riguardava anche Palermo: dal 2017, l’anno della morte di Riina, sembra essere decaduto il divieto di residenza per gli “scappati” imposto dal capo dei capi. Tornato nel sua città, Micalizzi aveva ripreso il comando del mandamento di Partanna Mondello: per questo motivo era stato arrestato di nuovo già nel luglio scorso. Adesso gli investigatori mettono nero su bianco come fosse riuscito a mettere le mani su un settore insospettabile: quello dei gelati. La vecchia mafia, dunque, è tornata a fare business. Resta da capire con quali soldi.
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Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Steve Witkoff, ha definito "inaccettabili" le ultime richieste di Hamas in merito al cessate il fuoco a Gaza. Riferendosi alla conferenza del Cairo di inizio mese, l'inviato statunitense per il Medio Oriente ha detto alla Cnn di aver "trascorso quasi sette ore e mezza al summit arabo, dove abbiamo avuto conversazioni davvero positive, che descriverei come un punto di svolta, se non fosse stato per la risposta di Hamas".
Hamas avrebbe insistito affinché i negoziati per un cessate il fuoco permanente iniziassero lo stesso giorno del prossimo rilascio di ostaggi e prigionieri palestinesi. Secondo Al Jazeera, Hamas ha anche chiesto che, una volta approvato l'accordo, i valichi di frontiera verso Gaza venissero aperti, consentendo l'ingresso degli aiuti umanitari prima del rilascio di Edan Alexander e dei corpi di quattro ostaggi. Inoltre, il gruppo ha chiesto la rimozione dei posti di blocco lungo il corridoio di Netzarim e l'ingresso senza restrizioni per i residenti di Gaza che tornano dall'estero attraverso il valico di Rafah.
"Abbiamo trascorso parecchio tempo a parlare di una proposta di ponte che avrebbe visto il rilascio di cinque ostaggi vivi, tra cui Edan Alexander, e anche, tra l'altro, il rilascio di un numero considerevole di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane", ha detto Witkoff. "Pensavo che la proposta fosse convincente: gli israeliani ne erano stati informati e avvisati in anticipo". "C'è un'opportunità per Hamas, ma si sta esaurendo rapidamente", ha continuato Witkoff. " Con quello che è successo ieri con gli Houthi, ciò che è successo con il nostro ordine di attacco, incoraggerei Hamas a diventare molto più ragionevole di quanto non sia stato finora".
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - L'esercito israeliano ha scoperto un nascondiglio di armi nel campo profughi di Nur Shams, fuori Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale. Lo ha reso noto l'Idf, precisando che sono state rinvenute diverse borse contenenti armi, una delle quali conteneva anche un giubbotto con la scritta 'Unrwa'. Le armi confiscate sono state consegnate alle forze di sicurezza per ulteriori indagini.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un missile lanciato dagli Houthi è caduto a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai. Lo ha riferito la radio dell'esercito israeliano, aggiungendo che l'Idf sta indagando per stabilire se il missile fosse diretto contro Israele.
Passo del Tonale, 15 mar.(Adnkronos) - Che l’aspetto competitivo fosse tornato ad essere il cuore pulsante di questa quinta edizione della Coppa delle Alpi era cosa già nota. Ai piloti il merito di aver offerto una gara esaltante, che nella tappa di oggi ha visto Alberto Aliverti e Francesco Polini, sulla loro 508 C del 1937, prendersi il primo posto in classifica scalzando i rivali Matteo Belotti e Ingrid Plebani, secondi al traguardo sulla Bugatti T 37 A del 1927. Terzi classificati Francesco e Giuseppe Di Pietra, sempre su Fiat 508 C, ma del 1938. La neve, del resto, è stata una compagna apprezzatissima di questa edizione della Coppa delle Alpi, contribuendo forse a rendere ancor più sfidante e autentica la rievocazione della gara di velocità che nel 1921 vide un gruppo di audaci piloti percorrere 2300 chilometri fra le insidie del territorio alpino, spingendo i piloti a sfoderare lo spirito audace che rappresenta la vera essenza della Freccia Rossa.
Nel pomeriggio di oggi, dalla ripartenza dopo la sosta per il pranzo a Baselga di Piné, una pioggia battente ha continuato a scendere fino all’arrivo sul Passo del Tonale, dove si è trasformata in neve. Neve che è scesa copiosa anche in occasione del primo arrivo di tappa a St. Moritz e ieri mattina, sul Passo del Fuorn. Al termine di circa 880 chilometri attraverso i confini di Italia, Svizzera e Austria, i 40 equipaggi in gara hanno finalmente tagliato il traguardo alle 17:30 di oggi pomeriggio all’ingresso della Pista Ghiaccio Val di Sole, dove hanno effettuato il tredicesimo ed ultimo Controllo Orario della manifestazione.
L’ultimo atto sportivo dell’evento è stato il giro nel circuito, all’interno del quale le vetture si sono misurate in una serie di tre Prove Cronometrate sulla neve fresca valide per il Trofeo Ponte di Legno, vinto da Francesco e Giuseppe Di Pietra. L’altro trofeo speciale, il Trofeo Città di Brescia, ovvero la sfida 1 vs 1 ad eliminazione diretta di mercoledì sera in Piazza Vittoria, era stato anch’esso vinto da Aliverti-Polini.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.