di Michele Sanfilippo

Dunque, fatemi capire: se Israele attacca il Libano e addirittura agisce in territorio iraniano va tutto bene, ma se l’Iran vuole reagire attaccando a sua volta Israele farebbe meglio a non farlo, altrimenti…?

A seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre la reazione di Israele, a guida Netanyahu, ha causato la morte di quasi 40mila civili nella striscia di Gaza. Da allora l’azione militare di Israele è continuata senza soste con il malcelato intento di estendere il conflitto alle milizie di Hezbollah per coinvolgere indirettamente l’Iran.

Israele sta incendiando il Medioriente con le sue sconsiderate azioni militari che quasi certamente provocheranno una reazione delle potenze militari locali, a partire da Turchia e Iran. Ma il fatto davvero grave è che lo stia facendo poco dopo che il suo primo ministro è andato a confrontarsi con i leader Usa (Biden o Trump che siano).

A questo punto i casi sono due:
– o gli Usa gli hanno dato il nulla osta e allora sono complici di quanto fatto da Israele;
– o non gliel’hanno dato e allora non possono continuare a sostenere un partner pericoloso come Netanyahu che sta riuscendo nell’incredibile impresa di far sembrare ragionevoli due leader così poco raccomandabili come Erdogan e l’ayatollah Ali Khamenei.

Purtroppo Israele, da quando è governato da Netanyahu, ha dato corpo a molte di quelle critiche che in passato sono state mosse, in modo assolutamente pretestuoso, al popolo ebraico. Penso in particolare alle accuse di sionismo inteso, in modo assolutamente fuorviante, come una dottrina imperialista e settaria, mentre è noto che il fondatore del sionismo, Theodor Herzl, pensava che l’assimilazione degli ebrei in Europa non potesse portare a una piena integrazione e che le comunità ebraiche necessitassero di un proprio Stato.

Eppure non c’è nulla di più lontano dal pensiero di Herzl della declinazione che ne sta dando la destra ultraortodossa, portata al governo dal primo ministro che, con la sua azione politica, vorrebbe trasformare Israele in un paese teocratico, in fondo non così diverso dalla Turchia di Erdogan e magari, un giorno, più simile all’Iran di quanto non si possa pensare.

Il partito di Itamar Ben-Gvir, il maggior alleato di governo di Netanyahu ha una forte matrice religiosa e concepisce il popolo israeliano come il prediletto da dio. E lo stesso Netanyahu ha, in fondo, radici culturali non così lontane da quelle dal suo alleato. Quando la religione accede al potere temporale si scava la tomba della democrazia e i cittadini (ma soprattutto le cittadine) iraniani lo sanno benissimo.

Solo gli Usa, che restano l’unico paese a difendere la politica estera di Israele, possono fare qualcosa per evitare il peggio. Capisco che intervenire per fermare Israele durante la campagna elettorale presidenziale potrebbe significare un forte spostamento dei fondi a sostegno di Trump (Netanyahu questo lo sa benissimo). Ma Israele va fermato perché non solo sta per provocare una deflagrazione senza precedenti in Medioriente: anche perché è sempre più difficile spiegare alle persone, e agli elettori, perché questo Israele sia un paese migliore di quelli che lo circondano.

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