Ogni anno in Italia, circa 400 persone perdono la vita per annegamento. Di queste, circa 40 (il 10%) sono minori. In occasione della giornata mondiale per la prevenzione dell’annegamento del 25 luglio, istituita dalle Nazioni Unite, vale la pena ricordare quali sono le regole d’oro per prevenire questi incidenti fatali.

Come sottolineano gli esperti dell’ospedale Bambin Gesù di Roma, “Sorveglianza, prevenzione e rispetto delle regole sono i tre fattori più importanti per evitare pericolosi incidenti”. Si tratta di principi che assumono rilevanza ancora maggiore se guardiamo ai dati degli ultimi dieci anni, in cui in Italia, come informa l’Istat, sono morte 3.760 persone per annegamento. Secondo il rapporto pubblicato dall’Osservatorio per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti e incidenti in acque di balneazione dell’Istituto superiore di sanità, ogni anno in Italia si registrano 800 ospedalizzazioni per annegamento, circa 60mila salvataggi (solo sulle spiagge) e più di 600mila interventi di prevenzione da parte dei bagnini.

La prevenzione rappresenta quindi la prima regola a cui attenersi per ridurre drasticamente il rischio di annegamento di bambini e ragazzi, ma anche adulti, evitando così possibili tragiche conseguenze. Un approccio che parte dall’eliminazione di accessi incontrollati in acqua, con l’introduzione di barriere fisiche, all’aumento della sorveglianza e attenzione sui bambini, fino al controllo della temperatura dell’acqua.

Prima di tutto, sorvegliare

“Spesso il primo problema di una mancata prevenzione è legato alla mancata conoscenza dell’area di balneazione, soprattutto di fiumi di laghi. Questo vale soprattutto per gli adulti e gli adolescenti; mentre per i bambini più piccoli il rischio può nascondersi anche nella vasca da bagno. La piscina è invece il luogo più a rischio di incidenti per i bambini più grandi”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Nazzareno Fagoni, Responsabile del Servizio di Ossigeno Terapia Iperbarica dell’Istituto Clinico Città di Brescia. “C’è una grande differenza di sorveglianza tra le acque interne, come appunto laghi e fiumi dove spesso è assente, e il mare dove nelle spiagge attrezzate c’è la presenza di bagnini”.

Professor Fagoni, quali sono i principali errori che si possono commettere nella prevenzione di questi incidenti nei bambini?
“Consideriamo che la maggior parte degli incidenti si verifica nei primi minuti in cui si è interrotta la sorveglianza sul bambino. In pratica, basta distrarsi un attimo con il cellulare o iniziare una chiacchierata con gli amici per creare condizioni di rischio per il bambino che sta giocando sulla battigia. Ricordo che i bimbi hanno una struttura anatomica particolare: la testa più grande in proporzione al busto, il baricentro più elevato che li sbilanciano in avanti facendoli cadere facilmente in acqua, perché poi basta un’onda o una risacca per trascinarli sott’acqua. Quindi, il genitore o l’accompagnatore deve sempre tenersi il piccolo vicino senza staccargli gli occhi di dosso. Di fatto, sarebbe ideale familiarizzare i figli con l’acqua già dopo i primi mesi di vita, frequentando corsi in piscina e abituarli quindi a questo elemento. Altra precauzione, dotarli di braccioli e ciambella salvagente, anche se il loro utilizzo non ci esime di sorvegliare i piccoli”.

Per gli adulti, quali fattori dobbiamo considerare che forse trascuriamo?
“A volte si sottovaluta il proprio stato di salute. Per esempio, persone che hanno problemi cardiaci, neurologici, metabolici (esempio diabete), in particolare in età superiore ai 50-60 anni, si possono trovare in situazione di rischio a causa dello sbalzo termico tra la temperatura corporea e quella dell’acqua che può provocare una perdita dello stato di coscienza. Pensiamo anche all’epilessia, in caso di convulsione o l’ipoglicemia: mentre si è in acqua il soggetto può perdere coscienza e rischiare di annegare”.

Troppo fredda?

Lo sbalzo termico è un altro elemento da tenere in considerazione.
“Sì, è importante valutare la temperatura dell’acqua e le condizioni ambientali da cui partiamo. Succede spesso di vedere sulle spiagge persone che stanno prendendo la tintarella, alzarsi di colpo e tuffarsi direttamente in mare. Il rischio è uno shock termico che può essere fatale. Per cui, altra regola aurea: bagnarsi gradualmente braccia, gambe, testa e immergersi poco a poco in acqua”.

Quante ore di attesa dopo i pasti

L’altra regola spesso dibattuta è quando ritornare a nuotare dopo aver mangiato.
“A seconda dei pasti, bisogna aspettare anche 2-3 ore. Il processo di digestione inizia dalla bocca con la “rottura meccanica” del cibo per poi proseguire con la scissione chimica a livello gastrico e poi intestinale. La fase gastrica è particolarmente importante e inizia circa dopo 20 minuti da quando abbiamo iniziato a mangiare, per cui non va bene nemmeno tuffarsi subito in acqua appena finito di consumare il pasto. In ogni caso, i tempi di attesa prima di un bagno, dipendono dalla quantità di cibo consumato e dalla sua qualità”.

Può farci qualche altro esempio?
“Se consumiamo un pasto leggero prevalentemente a base di carboidrati, possono essere sufficienti 1-2 ore; se prevalgono proteine e grassi, potremmo arrivare anche fino a tre-cinque ore di attesa prima di tornare in acqua. Un’ultima cosa: non va bene nemmeno, specie per i bambini, dare da mangiare uno spuntino, tipo crackers o biscotti, e poi farli subito andare in acqua”.

Le manovre di primo intervento

C’è anche l’esigenza di diffondere una cultura di pronto intervento anche tra i non addetti ai lavori?
“Esattamente. Se purtroppo non si può arrivare a un rischio zero, l’altra possibilità e aumentare la conoscenza di quelle pratiche e manovre che possono salvare la vita in caso di incidente in acqua. In molti Paesi all’estero questa cultura è molto diffusa. Fin da piccoli nelle scuole materne si familiarizzano i genitori e gli stessi bambini con le regole fondamentali di pronto soccorso. Si tratta di interventi che si possono effettuare nell’immediato in attesa dell’arrivo di personale qualificato. Questa tempestività può rappresentare la differenza tra salvare la vita di una persona o perderla”.

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