I Giochi olimpici sono un grande spettacolo di facce e di corpi, tesi verso la vittoria personale, che sia una medaglia o semplicemente una bella figura. Come per la cerimonia di apertura, dove viene scelto, se si vuole, un doppio portabandiera, una donna e un uomo, alla fine dei Giochi è giusto scegliere due facce azzurre, una donna e un uomo che faranno per sempre da copertina a questa edizione.
Le donne hanno fatto galleggiare nel cielo il medagliere azzurro e tra Alberta Santuccio, capace dell’ultima stoccata vincente contro la Francia, Alice Bellandi – una delle poche carte da medaglia a portare a termine il compito -, Caterina Banti, per cui è difficile ormai avvicinare un aggettivo per effetto della sua grandezza e le sue vittorie, l’atleta che più ha impressionato a Parigi 2024 è stata Nadia Battocletti. Trentina di Cavareno, figlia “d’arte” di Giuliano Battocletti e Jawhara Saddougui, è allenata dal padre e da 6 anni è tesserata per le Fiamme Azzurre.
E’ arrivata alla stagione 2024 da ottima mezzofondista italiana, con il carnet pieno di record nazionali, ma come normale mezzofondista in ambito internazionale. Nella sua disciplina – i 5mila – regna l’Africa (Kenya, Etiopia, Uganda), e a fare da leader è Sifan Hassan, etiope trasferitasi in Olanda, e altre atlete di Usa o Turchia. Ai Giochi di Tokyo Battocletti chiuse in settima posizione, a dieci secondi dalla vincitrice Hassan, mentre ai Mondiali di Budapest del 2023 tagliò il traguardo in 16esima posizione, a 34 secondi dalla vincitrice, la keniana Faith Kipyegon. Tre anni dopo, nel 2024, la stagione dell’atleta trentina si apre subito con buoni risultati che prosegue con i due titoli europei a Roma su 5mila e 10mila metri: è la migliore in Europa, ma nel mondo? Arriva Parigi, Battocletti dice di puntare più sui 5mila che sui 10mila. La prima gara finisce col quarto posto, con tanto di thriller dopo aver tagliato il traguardo con la squalifica proprio di Kipyegon poi revocata. Il quarto posto dà la consapevolezza dei mezzi ma per definizione non lascia medaglie al petto. Arriva la giornata della gara della distanza doppia – i 10mila, che l’azzurra dice di non sentire nelle sue corde – e Battocletti vince l’argento, dopo aver tentato di combattere perfino per l’oro, poi andato alla dominatrice della specialità, la keniana Beatrice Chebet. Dietro alla trentina restano tutte le etiopi. Dirà dopo la gara: “I 5mila erano il mio focus. Nelle ultime settimane ho avuto qualche problema fisico che mi ha portato a ridurre il carico. E ai 10mila non ci pensavo proprio, questa è appena la quarta volta che li faccio. Volevo divertirmi ancora un po’. Sono entrata in pista con una spensieratezza. Ho avuto un problema fisico che mi ha dato fastidio. Negli ultimi 500 metri ho avuto gli occhi aperti e ho pensato: ‘Adesso non mi scappate‘”. Il gap di secondi dopo tre anni è colmato. Un miglioramento incredibile, figlio di una serietà, una determinazione, un processo fatti di passi piccoli ma sempre coerenti, una capacità di crescere incredibile se si pensa alla situazione del mezzofondo femminile globale. Le sue parole sempre giuste e profonde non fanno che colorare di meraviglia la carriera di un’atleta che a questo punto potrebbe davvero tutto.
E tra gli azzurri uomini? Il range dei candidati è più ristretto: si potrebbe optare per il velista Ruggero Tita, ancora una volta oro olimpico, i nuotatori Gregorio Paltrinieri e Thomas Ceccon, il ciclista Elia Viviani. Ma a rendere indimenticabili le Olimpiadi di Parigi è stato forse un allenatore, Julio Velasco. Come ha ribadito in questi giorni, l’oro olimpico per lui non era un’ossessione, non era un incubo da cui sfuggire per vivere in una sorta di realtà parallela. Però ha anche detto che è stato ed è il sogno della sua carriera e in parte anche della sua vita. Se Nadia Battocletti è la faccia dell’Italia che costruisce, studia, organizza e cresce, quella argentina di Julio Velasco è quella di chi immagina e studia: senza lo studio non si arriva a nulla e i tre tenori della panchina del volley azzurro – con Velasco c’erano Massimo Barbolini e Lorenzo Bernardi – sono stati anche allenatori di club in questa stagione e hanno seguito quotidianamente le proprie atlete e soprattutto le avversarie, un indizio interessante anche per altri sport. Velasco ha definito i contorni di un quadro e poi ha lasciato alle atlete gli strumenti per realizzare l’opera d’arte.
Quando si ascoltano Battocletti e Velasco sembrano mondi molto distanti che però si toccano. Nadia è la costanza della ragione, Velasco è l’esercizio dell’immaginazione. Lontani a prima vista eppure vicini, perché senza tutto quello che entrambi hanno fatto in questo ultimo anno, le loro medaglie non sarebbero arrivate. Facce d’Italia a Parigi, facce in fondo della stessa medaglia, facce da medaglia.