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Sant’Anna di Stazzema, 80 anni dopo. “Le SS non potevano arrivare lassù da sole, tra chi voleva ucciderci c’era anche chi parlava in dialetto”

“I tedeschi non sarebbero potuti arrivare da soli fin lassù. Quel giorno sentimmo parlare in italiano chi ci voleva ammazzare”. A ottant’anni dalla strage nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, dove furono uccisi 560 civili, tra cui molti bambini, a tornare con la mente a quella mattina sono due sopravvissuti che hanno accettato di parlare con ilFattoQuotidiano.it: Mario Marsili, 86 anni, scampato grazie alla madre che lo nascose dietro la porta della stalla e Adele Pardini, 84 anni che ha visto morire davanti ai suoi occhi mamma Bruna con in braccio la sorellina di venti giorni.

Il 12 agosto di ogni anno per chi nel 1944, all’alba, vide l’abitato di Sant’Anna e il paese di Valdicastello circondato dai soldati tedeschi di tre compagnie della 16esima SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer-SS”, comandata dal Gruppenführer Max Simon, è ancor più doloroso. Per i sopravvissuti, quella tragedia, è una lacerazione. E’ una ferita che sanguina ancora. Insopportabile come la storia che ha reso famoso questo luogo sul margine meridionale delle Alpi Apuane raggiungibile oggi solo da sud attraverso una strada che parte da Camaiore o attraverso le strade mulattiere.

E’ lì dove erano sfollati dalla Versilia in centinaia e dove Sant’Anna era stata dichiarata zona bianca dai tedeschi, destinata cioè di accogliere popolazione civile, che quella mattina in poco più di tre ore furono massacrate più di cinquecento persone. Nessuna rappresaglia anche perché il nemico – i partigiani – non c’erano: “Erano fuggiti – come ci narra Mario – da due giorni”. Non avrebbe mai potuto immaginare, lui allora bambino, ciò che è successo: “L’11 agosto eravamo tutti in piazza a giocare. La guerra lì si sentiva solo per il passaggio sopra le nostre teste di qualche aeroplano”. A rompere quell’apparente quiete di Marsili furono le voci dei nazisti: “Mia madre mi nascose in una nicchia dietro la porta. Vidi che le scaricarono un mitra addosso. Era ferita alla testa ma trovò la forza per lanciare uno zoccolo verso un soldato che stava per scoprirmi. Morì. Morirono tutti. Poi aprirono i lanciafiamme sulla paglia e sui cadaveri e ci diedero fuoco”.

Marsili venne trasportato con una barella di fortuna all’ospedale di Valdicastello Carducci dove c’era il pronto soccorso ma gli dissero che aveva ustioni di terzo grado e i polmoni scoperti. “Allora zia Lola – continua Mario – mi portò in un convento di suore di Marina di Pietrasanta e ci rimasi più di un anno. Mi misero al sole per curarmi le piaghe”. Ottant’anni dopo Marsili rivede passare davanti agli occhi quella storia: “Quegli atti possono averli compiuti i tedeschi ma loro non sarebbero mai arrivati fin lassù senza la collaborazione degli italiani. Dopo la rappresaglia qualcuno disse che aveva persino sentito parlare in versiliese. Nessuno di noi era partigiano e se fossero stati presenti si sarebbe verificata una rappresaglia. Magari, molti si sarebbero pure salvati. E invece, fu un eccidio. Un atto di terrore contro i civili”. Mario, oggi, è sicuro: “No, il fascismo non può tornare. I nostalgici ci possono essere ma i più giovani, grazie anche alla nostra testimonianza, sanno preservare la democrazia”.

Parole condivise da Adele Pardini che a fatica, con il nodo alla gola, ci racconta ciò che ricorda: “Oggi non mi vengono neanche le parole…”. E’ una narrazione, la sua, interrotta dai singhiozzi latenti ma la volontà di tornare su quella pagina della sua e nostra storia alla fine vince: “Mio papà quella mattina portò a lavorare al terreno nella frazione Cacciadiavoli i miei fratelli: Vittorio di sette anni; Siria di nove; Licia di dodici e Vinicio di quattordici. Noi cinque sorelle restammo a casa. Stavo facendo colazione col latte seduta su cassapanca quando i soldati ci trascinarono al muro dell’adiacente casa degli zii. Ci misero in ordine di altezza con i mitra davanti. Mia sorella Cesira chiese a mia mamma di prendere in braccio la piccola Anna ma mia madre sapeva che senza di lei non sarebbe sopravvissuta e invocò pietà per la sua bambina. Un soldato tirò fuori la pistola e la colpì in testa. I militari iniziarono a sparare a raffica”. Oggi Adele può parlare per puro caso, perché lei e la sorella finirono nelle gabbie dei conigli: “Ricordo solo che tra quei soldati c’erano delle persone mascherate. Perché si coprivano? Io non ricordo le voci ma mia sorella mi ha raccontato che uno di quei militari le disse in italiano: “Vai con gli altri”. Valdicastello, inoltre, non era segnalata sulla carta: come sono arrivati fino lì le truppe naziste?”. Ad Adele resta solo una speranza: “Ho fiducia che resti la pace perché oggi una guerra in Italia sarebbe peggio di allora”.