Cosa nostra aveva investito in Brasile. Lo ha scoperto la procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, collaborando col secondo tribunale federale del Rio Grande Do Norte. È a Natal, in Sud America, che i finanzieri del comando provinciale di Palermo e la polizia federale brasiliana hanno arrestato Giuseppe Bruno, un imprenditore originario di Bagheria, in Sicilia. Dal 2016 si era trasferito in Sud America per seguire alcuni investimenti immobiliari. Business in cui era coinvolto Giuseppe Calvaruso, reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli. Gli investigatori hanno sequestrato circa 50 milioni di euro, tra beni mobili e immobili riconducibili a 17 soggetti, tutti indagati, e a 12 società operanti nel settore immobiliare, edile e ristorativo. Perquisizioni sono state fatte in diverse regioni italiane, in Brasile e in Svizzera.
L’inchiesta Palermo-Brasile – I reati ipotizzati sono concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dalla finalità di aver agevolato importanti famiglie mafiose. “L’operazione di stamane – spiegano gli investigatori delle Fiamme gialle – giunge al culmine di una complessa attività investigativa, avviata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo con l’obiettivo di far luce su possibili cointeressenze di esponenti di spicco di Cosa nostra palermitana in compagini societarie in Italia e all’estero (in particolare in Brasile)”. Di fondamentale importanza il ricorso da parte dell’autorità giudiziaria palermitana agli strumenti della cooperazione internazionale in ambito giudiziario e, in special modo, l’iniziativa di istituire nel 2022 una ‘Squadra investigativa comune‘ (Sic) con gli organi giudiziari e di polizia della Repubblica federale del Brasile. Il tutto di concerto con la Direzionale nazionale antimafia e antiterrorismo e con la partecipazione del membro nazionale italiano presso Eurojust.
Colletti bianchi al servizio del boss – Perquisizioni sono scattate in Sicilia, Emilia Romagna, Lazio, Toscana e Veneto in abitazioni, sedi societarie e studi professionali. Il denaro utilizzato nelle attività imprenditoriali , secondo le ricostruzioni investigative, sarebbe giunto a destinazione attraverso ” sofisticati meccanismi di riciclaggio, basati, tra l’altro, sull’impiego di plurimi conti di transito accesi presso istituti finanziari, prevalentemente all’estero”, spiega la Guardia di Finanza. Il nome principale dell’inchiesta è quello del boss Calvaruso, reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli, sino al suo arresto nel 2021. A fornire al mafioso e a Bruno il supporto necessario per perferzione le operazioni societarie, in Italia e all’estero (Brasile, Svizzera, Hong Kong e Singapore), sarebbero stati “affermati professionisti; tra questi, due operativi in Emilia Romagna, regione dove Calvaruso, dopo un precedente periodo di detenzione, per alcuni anni aveva vissuto”. Nel 2019, il reggente del clan di Pagliarelli si era trasferito a Natal, raggiungendo l’imprenditore di Bagheria, che si trovava in Brasile dal 2016. In questo modo ha seguito lo sviluppo delle iniziative imprenditoriali nel campo immobiliare – residence e appartamenti di lusso – e della ristorazione, ma continuando anche a gestire le attività criminali palermitane.
“Giro d’affari da 500 milioni” – Secondo le indagini della Finanza tra gli affari più significativi di Bruno c’era “l’avvio, attraverso le società del gruppo, di un piano di lottizzazione di vastissime aree edificabili a ridosso della costa nordorientale del Brasile. Progettualità che si aggiunge ad altre numerose transazioni in campo immobiliare, in grado di garantire profitti di eccezionale entità”. Secondo le Fiamme gialle “sarebbe quantificabile in oltre 500 milioni di euro il valore patrimoniale complessivo nel tempo assunto da tutte le società nell’orbita del sodalizio criminale”. L’organizzazione, di cui faceva parte il boss Calvaruso, dopo aver realizzato alcune lucrose iniziative imprenditoriali in Italia (tra cui un resort in provincia di Trapani) a partire dal 2016, avrebbe spostato il baricentro dei propri interessi principalmente in Brasile, potendo lì contare, in una prima fase, anche sull’appoggio di un altro imprenditore romano, poi arrestato, nel 2019, dalle autorità brasiliane perché ritenuto mandante di un omicidio avvenuto 5 anni prima a Natal. Proprio a quest’ultimo, Calvaruso avrebbe dato soldi presi direttamente dalle casse di Cosa nostra. Gli investigatori ipotizzano un primo maxifinanziamento, per circa 830.000 euro, che sarebbe stato elargito in contanti in due tranche, tra il 2016 e il 2017, grazie a cui l’organizzazione sarebbe entrata a far parte, come socio occulto, in numerose società già presenti nel Paese.