La Presidente del Consiglio, al ritorno dal suo viaggio in Cina con la figlia, ha rilasciato un’intervista al settimanale Chi in cui risponde alle critiche di coloro che non hanno apprezzato il fatto che abbia viaggiato accompagnata dalla bambina.
Non condivido le critiche che le rivolgono su questo punto e sono convinta che si possa, se le condizioni lo consentono, viaggiare con i propri figli anche se si ricoprono ruoli apicali, perché ritagliarsi degli spazi per riuscire a conciliare gli impegni istituzionali e quelli familiari non solo è corretto, ma anche doveroso. E semmai ci si dovrebbe chiedere perché questo non succede mai quando questi ruoli sono ricoperti da uomini. Ma la risposta la conosciamo bene…
Come sempre Giorgia Meloni sposta il focus del problema e addirittura rivendica di essere un modello in tema di conciliazione famiglia/lavoro asserendo che: “sulla carta, fare un lavoro importante e dimostrare che si possono anche crescere dei figli non dovrebbe essere una rivoluzione, ma in questa società che spesso usa i figli per impedirti di raggiungere i tuoi traguardi probabilmente lo è”. Meloni dimentica e omette di dire che lei e altre come lei sono privilegiate nel conciliare i tempi della vita familiare e quelli di lavoro da tanti fattori: economici, sociali e familiari e che per le donne “normali” non solo è difficile arrivare a rivestire incarichi importanti e impegnativi, ma ben più banalmente è complicato anche riuscire a mantenere un lavoro.
Dalla prima Presidente del Consiglio molte donne avevano la speranza, che si è sciolta come neve al sole, che, proprio perché donna, madre e cristiana (parole d’ordine della sua campagna elettorale) avrebbe dedicato cura e risorse per affrontare tutti i nodi e le urgenze che non permettono alle donne di avere una vita piena, libera e priva delle difficoltà e degli ostacoli che ancora oggi e sempre di più donne e madri incontrano. A partire dall’inserimento nel mondo del lavoro: l’Italia è fanalino di coda fra i Paesi dell’Unione Europea per il tasso di occupazione femminile, circa 14 punti al di sotto alla media europea.
Ma non basta, perché se anche i dati Istat ci dicono che il lavoro femminile è in crescita, dobbiamo analizzare questi dati per capire che c’è stato un drastico peggioramento della qualità dell’occupazione, così come dimostrato dalla crescita del lavoro precario, del part-time involontario (il più alto fra i Paesi Ue – un dato fra tutti: nel nostro Paese solo il 6,6% degli uomini che lavora, lo fa a tempo parziale, rispetto al 31,3% delle lavoratrici, che per la metà dei casi (15,4%) subisce un part-time involontario) e dei contratti a termine. Per non parlare del divario retributivo che rimane una grande discriminazione.
Per una madre poi mantenere il posto di lavoro è un percorso ad ostacoli tale che una su cinque finisce per lasciarlo dopo essere diventata madre. Le misure per affrontare e superare queste barriere le conosciamo e le ripetiamo da anni: lavoro buono, non precario e dignitoso dal punto di vista retributivo, congedi paritari non trasferibili, un welfare che supporti le famiglie fatto non solo di nidi, scuole dell’infanzia con orari flessibili, ma anche di scuole a tempo pieno e servizi per i disabili, gli anziani e i non autosufficienti. Forse questo si aspettavano molte quando per la prima volta una donna è arrivata a Palazzo Chigi, una donna di destra, ma proveniente dalla destra sociale, un’area politica che ha coniugato idealmente tradizione, gerarchia e organicità con la giustizia sociale.
Niente di tutto questo. Nessun provvedimento che possa incidere in modo significativo sulla vita delle donne. Anzi, un continuo arretramento dei diritti che comprime la sfera dell’autodeterminazione femminile a cominciare dai diritti sessuali e riproduttivi. Neanche sul fronte della violenza contro le donne, in un momento in cui ogni giorno si susseguono femminicidi, c’è attenzione e coinvolgimento da parte del governo, nel cercare di risolvere questo dramma. Un esempio per tutti: le opposizioni unite hanno stanziato 10 milioni di euro del loro tesoretto nella legge di bilancio, per ampliare il reddito di libertà (400 euro mensili per massimo 12 mesi) per le donne vittime di violenza. A 7 mesi dal varo della legge non è stato ancora adottato il decreto di assegnazione delle risorse all’Inps.
Risultato: delle 6489 donne vittime di violenza che hanno chiesto aiuto allo Stato, sono state accolte solo 2772 domande; le altre possono aspettare, non perché manchino i soldi, ma per incuria e perché ben altre sono le preoccupazioni della Ministra Roccella, a cui spetta varare il decreto di assegnazione: supportare i movimenti antiabortisti.
L’ultimo colpo poi è stato inferto dalla Legge sull’autonomia differenziata che andrà a peggiorare la vita delle donne, soprattutto quelle del Sud, ma non solo. Perché gli effetti saranno devastanti per tutti e tutte ma sarà ancora più penalizzante per le donne, perché estende la potestà legislativa delle Regioni sino a renderla esclusiva in materie come la sanità (e pensiamo a quello che sta già capitando oggi in materia di diritti sessuali e riproduttivi nelle regioni governate dalla destra), l’istruzione e tutti i servizi pubblici (quindi asili nido, materne e scuole di primo e secondo grado che avranno parametri e risorse differenti da regione e regione, oltre alla completa autonomia nel processo di privatizzazione del settore) e non da ultimo il lavoro (ogni regione potrà legiferare autonomamente restringendo le tutele e le azioni positive per l’implementazione del lavoro femminile?).
Domande senza risposte, visto che il trasferimento delle funzioni aggiuntive alle Regioni che lo richiedono potrà avvenire solo previa definizione dei Lep di cui ancora non c’è traccia.
E infine se il bilancio dello Stato si ridimensiona, come saranno garantiti gli stessi diritti in tutto il territorio nazionale?
Ma anche osservando Giorgia Meloni dal solo punto di vista umano, non possiamo che rimanere sconfortate dalla sua indifferenza e insensibilità rispetto alle tragedie che stanno sconvolgendo il mondo: i migranti morti in tutto il Mediterraneo per sfuggire a guerre, fame, carestie (come non ricordare il suo atteggiamento freddo e distaccato di fonte alle vittime di Cutro) o ancora peggio nessuna parola, nessuna partecipazione solidale al dramma vissuto dal popolo palestinese e dai tanti bambini e bambine che muoiono o vivono nell’angoscia e nel terrore ogni giorno.
E’ giusto che Meloni si occupi di sua figlia, una bambina fortunata che ha dalla vita, oltre che benessere e agiatezza, una madre amorevole, ma proprio questo dovrebbe impegnarla a creare le condizioni per cui tutti i bambini e le bambine possano avere una vita serena, libera, dignitosa, circondati dall’affetto e dalla cura dei genitori; perché invece proprio la prima Presidente del Consiglio non si occupa delle più gravi forme di discriminazione e sfruttamento delle donne, della loro precarietà nel mondo del lavoro, della violenza che subiscono?
Una risposta a questa contraddizione ci viene dal libro di Giorgia Serughetti “Potere di altro genere” (Donzelli editore). Perché non si può sostenere che la vittoria di una donna sia una conquista per tutte, qualunque sia la sua storia, la sua visione politica, il suo rapporto con il femminismo, il suo modello di gestione del potere. In breve, non basta essere donna per attuare politiche che rendano migliore la vita delle donne e quindi di tutta la società.