di Gionata Borin

È mancato il magistrato Agostino Cordova: fu giudice istruttore presso il Tribunale di Reggio Calabria e successivamente a capo delle Procure di Palmi e di Napoli. Una triste notizia per la Calabria onesta.

Cordova è stato un esempio d’integrità e coraggio nella magistratura italiana.

Istruì importanti processi contro le cosche di ‘ndrangheta, tra cui quello contro il gruppo cosiddetto “dei 60” capeggiato dal boss Paolo De Stefano. Ma fu nel 1992 che l’allora procuratore di Palmi provocò un vero e proprio terremoto politico-giudiziario: raccogliendo le testimonianze del “pentito” Pietro Marrapodi, notaio, ‘ndranghetista e massone, avviò la maxi-inchiesta denominata “Mani Segrete” su di un presunto sistema di rapporti vincolanti tra ‘ndrangheta, politica, massoneria deviata, imprenditori e pezzi della stessa magistratura.

Cordova riuscì a porre sotto sequestro il computer del Grande Oriente d’Italia, contenente l’archivio elettronico di tutte le logge massoniche italiane. L’inchiesta si allargò fino a produrre circa 800 faldoni e sottoporre ad indagine più di sessanta persone. “Mani Segrete” coinvolse influenti personalità dell’imprenditoria, della finanza, della politica e della magistratura, anche non strettamente calabrese, arrivando fino al venerabile maestro della P2 Licio Gelli. Furono trovate tracce di alcuni grossi scandali legati al traffico di rifiuti tossici, al commercio illegale di armi, agli appalti, fino a sospettare di un traffico di uranio con l’ex Unione Sovietica.

Con l’ingente mole di lavoro che si venne a creare, Cordova auspicò la creazione di un pool di magistrati provenienti da tutta Italia, esperti in materia di criminalità organizzata e “poteri occulti”, tentando di coinvolgere Gherardo Colombo (P2 e Mani Pulite), Felice Casson (Gladio), Libero Mancuso (strage stazione di Bologna) e un giovane Nicola Gratteri, all’epoca giudice antimafia a Locri. Dopo l’avvio di questa inchiesta, Cordova verrà duramente attaccato dalla politica; in primis dall’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, dal ministro della Giustizia Claudio Martelli e da Vittorio Sgarbi.

Immancabilmente – come da copione – nel 1994 l’indagine gli fu tolta dalle mani, avocata e trasferita al “porto delle nebbie” della Procura di Roma, dove rimase a prendere polvere fino al 3 luglio 2000, quando il gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, archiviò l’inchiesta. Nelle motivazioni, il gip sostenne che l’indagine conoscitiva avviata da Cordova aveva “vissuto momenti di inusuale ampiezza”, quasi a voler biasimare lo stesso procuratore calabrese di aver lavorato troppo, e che gran parte delle carte provenienti dalla Procura di Palmi erano divenute “inconsultabili” in quanto ammassate senza ordine e indice negli scantinati della procura di Roma: di fatto un gip, come sostenne lo stesso Cordova, in maniera inusuale, ammise nelle motivazioni di aver accolto la richiesta di archiviazione senza aver esaminato tutti gli atti d’indagine.

Resta il dato storico: Agostino Cordova fu il primo magistrato ad indagare sui rapporti tra mafie, politica e massoneria deviata, arrivando, quantomeno in Calabria, a ciò a cui anni dopo arrivarono i vari Federico Cafiero De Raho, Luigi De Magistris, Nicola Gratteri, Raffaele Lombardo e altri coraggiosi magistrati. Di fatto Cordova fu il precursore che per primo arrivò a comprendere i rapporti tra mafia e massoneria deviata.

Ma per Agostino Cordova, a differenza di altre personalità, non verranno celebrati funerali di Stato, non verrà proclamato il lutto nazionale e soprattutto, con la contro narrazione revisionista in atto da anni, alcune vipere tenteranno di farlo passare come uno dei tanti magistrati malati di protagonismo, colpevole di aver avviato una maxi indagine finita nel nulla.

Riposi in pace, procuratore Cordova. A volte verrebbe da chiedersi se questo Paese, così profondamente corrotto e disonesto, si sia mai meritato personalità integerrime come la sua.

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