L’acqua è il principale veicolo per la somministrazione di un farmaco orale. Sembra un dato semplice, ma nella realtà le cose sono molto più complicate. Come ha sottolineato di recente Alberto Corsini, professore ordinario di farmacologia dell’Università degli Studi di Milano, in un’intervista per AdnKronos, non basta accompagnare il farmaco con un dito di acqua, perché se no non ne assorbiamo il principio attivo: “Ci vuole un bicchiere pieno, che vuol dire 150-200 ml, per favorire la solubilizzazione e il trasferimento a livello gastrointestinale, dove poi avviene l’assorbimento vero e proprio”.
Alcune regole per assumerli corretamente
Come assumere correttamente un medicinale è di fatto un problema serio che porta a una mancanza o ridotta efficacia terapeutica, se non, nei casi peggiori, a effetti indesiderati gravi. Altri esempi? Restando sul farmaco orale, bisogna sapere che va assunto in posizione eretta, o almeno seduti in posizione verticale e non sdraiati. Serve a favorire per gravità il trasferimento dalla bocca allo stomaco. Bisogna infatti sapere che il passaggio nell’esofago è di circa 2-3 minuti. Nel giro di 10 minuti, spiega sempre Corsini, stando in quella posizione, il farmaco raggiunge lo stomaco dove può verificarsi l’assorbimento. Questo passaggio è facilitato dall’acqua, che aumenta il peso.
Con i pasti
Un altro elemento importante è il caso dei farmaci da prendere in presenza di cibo. “Questo significa che bisogna mangiare un pasto – sottolinea Corsini -. Quando infatti il farmaco viene studiato per capire se è importante o meno assumerlo vicino o lontano dai pasti, lo si valuta con la cosiddetta ‘continental breakfast’. Vuol dire con una certa quota di grassi, latte, zuccheri, ecc. Quindi il paziente deve mangiare. Non basta un biscottino la mattina. Queste informazioni sono anche scritte nei foglietti illustrativi, ma un aiuto in questo lo può dare il farmacista”, ricordando le giuste modalità di assunzione quando dispensa il farmaco al paziente.
Gli anziani più a rischio
“I problemi principali relativi all’assunzione di un medicinale riguardano la bassa aderenza alla terapia: o non lo si assume correttamente o ci si dimentica proprio di prenderlo“, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Graziano Onder, geriatra del Policlinico Gemelli di Roma. Un fenomeno che tocca in modo particolare le persone anziane perché sono maggiormente sottoposte a numerose terapie farmacologiche. Si stima infatti che il 30 per cento di anziani entri in contatto con dieci o più farmaci all’anno”.
Professor Onder, il problema si complica perché per ogni tipologia di farmaco ci sono diverse modalità di assunzione.
“Sì, le faccio qualche esempio. È noto che i farmaci per la tiroide vadano presi a stomaco vuoto; oppure quelli per la cura del Parkinson, lontano dai pasti proteici. Ci sono poi i bifosfonati per la cura dell’osteoporosi che si prendono ancora a stomaco vuoto. Alcuni vanno presi con acqua, altri con poca acqua o a digiuno. In definitiva, sono situazioni complesse all’interno delle quali anche il medico di base rischia di perdere qualche dato importante”.
E quindi, come orientarsi?
“Restando sull’esempio della quantità di acqua da assumere col farmaco, non è decisivo se uno ne prende mezzo o un bicchiere intero. Ci sono delle tolleranze accettabili. C’è però un criterio per regolarsi che non bisogna perdere di vista”.
Quale?
“Il paziente deve giocare un ruolo attivo con il suo medico di fiducia o con lo specialista che lo sta seguendo. Deve avere sempre con sé la lista dei farmaci che sta prendendo, compreso quelli da banco che non richiedono ricetta del medico, sottoporla periodicamente al medico per richiedere se è necessaria una revisione del piano terapeutico. Non è detto infatti che un farmaco si debba prendere a vita. Per esempio, un farmaco per una malattia cronica come il diabete o l’ipertensione può essere a un certo punto ridotto o sospeso, ovviamente sempre secondo la valutazione del medico. Le faccio un altro esempio. Una cosa spesso sottovalutata è che i farmaci per proteggere lo stomaco, i cosiddetti gastroprotettori, che sono assunti da circa il 50 per cento della popolazione anziana, hanno in realtà degli effetti sullo stomaco che possono influenzare l’assorbimento di altri farmaci. Quindi può succedere che l’utilizzo di questi medicinali che bloccano l’acidità dello stomaco possano influenzare anche l’assorbimento di altri farmaci che, per contro, per agire hanno bisogno di un ambiente acido nello stomaco. In definitiva, bisogna vegliare costantemente e soprattutto avere un quadro completo del piano terapeutico che il paziente sta osservando”.
C’è anche la questione della possibile interazione tra farmaci e alcuni cibi. Come il caso del pompelmo.
“È un caso emblematico. Si è visto che bere elevate quantità di succo di pompelmo può inibire il metabolismo, l’eliminazione del farmaco, fino ad aumentare le concentrazioni farmacologiche con effetti tossici. Ciò non vuol dire che bisogna bandire il pompelmo, ma evitare di mangiarne o berne in quantità costante. C’è ancora un altro aspetto da sottolineare, quello del consumo di farmaci fitoterapici”.
Qual è il problema?
“È innanzitutto una questione di miti da sfatare. Si pensa che i prodotti farmacologici a base di erbe, in quanto naturali, non diano effetti collaterali. Sbagliato. Sono farmaci a tutti gli effetti e come tali vanno trattati, a cominciare con l’informare il medico in caso di assunzione per evitare antagonismi o potenziamento degli effetti dei farmaci tradizionali”.
Anche la questione de farmaci generici e di marca può creare confusione?
“Succede con una certa frequenza che il paziente abbia con sé sia il farmaco di marca che quello generico e quindi non ricordandosi che sono la stessa cosa, ne assume uno e l’altro, raddoppiando magari la dose. Per cui, anche qui bisogna ricorrere a un escamotage pratico: dotarsi di confezioni a vari comparti in cui suddividere i farmaci da prendere durante la giornata evitando di fare confusione o di dimenticare quelli che si sono già presi”.