Se io fossi yankee*, sarei infastidito dalle prossime elezioni, perché non si vedono nuove frontiere, ma due frontiere piuttosto vecchiotte, già sperimentate a lungo. Harris è la discendente diretta di Biden in assenza di un figliuolo presentabile (2009-2016 e 2021-2024). Trump si è fatto ben conoscere durante il suo primo quadriennio (2017-2020). Così è, se vi pare: tertium non datur, perché l’indipendente, ambientalista e pacifista Robert F. Kennedy Jr. non ha alcuna possibilità di essere eletto. E incarna comunque una nuova frontiera dal profumo vintage.
S’i fosse yankee, sarei preoccupato. Le ragioni per cui Trump fu eletto otto anni fa sono ancora tutte sul tavolo. Credo di essere tra i pochi blogger ad avere previsto con largo anticipo il possibile successo repubblicano nel 2016, proprio su questo blog.
Agricoltori, lavoratori industriali e classe media continuano a soffrire l’inarrestabile progresso verso una società neofeudale a trazione finanziaria. A parole i democratici sventolano la bandiera della equità, ma hanno deluso nei fatti una parte consistente di quell’elettorato. Per i repubblicani “equità” è una parolaccia, eppure attraggono chi invece la invoca.
S’i fosse yankee, sarei spaventato. Avrei paura di un Trump 2.0 ispirato alla lista dei desideri del Project 2025 della Heritage Foundation*. Sotto il profilo ambientale, l’obiettivo di “liberalizzare la produzione di energia americana per ridurre i prezzi dell’energia” non è solo la pietra tombale sulla pur velleitaria e spesso fraudolenta politica globale di riduzione delle emissioni: anni di sforzi e norme per migliorare l’ambiente americano—le acque e i suoli, l’aria e mari—sarebbero perduti.
S’i fosse yankee, sarei costernato. L’attacco ai diritti civili non farebbe prigionieri. Project 2025 non scherza, dal bando dei maschi biologici negli sport femminili a quello di parole come “orientamento sessuale e identità di genere, diversità, equità e inclusione, genere, parità di genere, equità di genere, sensibilizzazione alle questioni di genere, aborto, salute riproduttiva, diritti riproduttivi”. Ancor più se si tratta di “proteggere il confine, finendo di costruire il muro”. I muri non solo impediscono l’ingresso, ma anche l’uscita, come sanno a Berlino.
S’i fosse yankee, sarei amareggiato. Elon Musk, convinto sostenitore di Trump, sputa nel piatto che lo ha lanciato nell’empireo dei multimiliardari. L’elettrificazione della mobilità privata è sempre stata un must dei democratici più progressisti, fedeli acquirenti degli ottimi prodotti di Musk. Tesla proporrà una innovativa auto a carbone? È il combustibile fossile più diffuso e a buon mercato.
S’i fosse yankee, sarei giocoforza un tifoso di Kamala Harris. La scelta di Tim Walz come vice è un segnale coraggioso. Non che la scelta offrisse un parterre esaltante, ristretta com’era tra iper-sionisti e ancelle della finanza. Ma c’è perfino chi sogna che il “populismo della prateria” di Walz possa diventare il faro della politica democratica (David Sirota su Jacobin). E sarei grato alla folla di giornalisti, opinionisti, intellettuali italiani ed europei che dipingono le prossime elezioni come un duello tra il bene o il benino, ossia Kamala Harris, e il male assoluto, Donald Trump.
S’i fosse Cecco, com’i sono e resto, europeo e italiano e senese, sarei e sono più cauto. Dato l’enorme potere degli Stati Uniti, agli europei conviene collaborare con una atlantista o con un pacifista? Harris, come Biden e i Clinton prima di lui, è la fedele incarnazione del credo atlantista, estrapolazione a scala globale della dottrina Monroe (1823). Dalla guerra siriana a quella ucraina, dall’avventura afgana e alle stragi palestinesi, il mondo non è migliorato, anche se il caos degli ultimi 15 anni giova sicuramente a qualcuno.
Sicuramente non giova al sogno tedesco ed europeo di conservare il welfare attraverso una transizione ecologica fondata sul gas a buon mercato, né a coloro che piangono ancora l’incidente del Nord Stream 2. Per contro, Trump vanta a ragione l’unico periodo di pax americana del terzo millennio. E si proclama pacifista in senso letterale e pacifista in senso geografico, perché guarda all’Oceano Pacifico più che all’Atlantico.
Cecco, il lontano cugino senese un po’ ribelle le cui confidenze ho qui riassunto in breve, non racconta sogni stilnovisti, ma è un poeta molto attaccato alla realtà. Per questo, preferirebbe un bis di Donald Trump, con buona pace per gli amici yankee: se sono sopravvissuti al primo mandato, ce la faranno anche a superare il secondo. Insomma, per Cecco (e gli europei affezionati al sogno di Ventotene) Trump è il male minore proprio perché pacifista, in tutti i sensi.
Però che megli’è mal, che mal e peggio,
avvegna l’un e l’altro buon non sia:
ma, per aver men pena, il male chèggio.
Cecco Angiolieri, Rime, LI, a cura di Gigi Cavalli, Milano: BUR, 1979.
* Vedi: AA. VV. (2024) Mandate for Leadership; The Conservative Promise, a cura di P. Dans & S. Groves, Washington: The Heritage Foundation. Disponibile gratuitamente su: heritage.org.