Salute

“Abbiamo vinto con la testa”: i consigli del mental coach per avere successo nello sport (ma non solo)

Ne parla il professor Pietro Trabucchi al FattoQuotidiano.it

“Abbiamo vinto con la testa”, raccontano entusiaste le ragazze dell’Italvolley dopo aver vinto l’oro olimpico contro gli Stati Uniti. E che dire della massima concentrazione di Alice D’Amato, oro nella trave, che riesce a gestire i momenti chiave della sua performance, quando tra una medaglia e la sconfitta ci può essere un piede appena disallineato. E poi gareggiare contro il tifo di casa e arrivare a un podio sognato come è stato per Lorenzo Musetti nel tennis. Tutte gare in cui si fondono concentrazione, equilibrio, forza e capacità di non farsi mai prendere dallo scoraggiamento, anche quando tutto sembra perso. Una serie di atteggiamenti mentali frutto di anni di allenamento psichico che accompagnano lo sviluppo globale di un atleta e che forse in qualche modo possono essere di aiuto anche in chi non gareggia in nessuna disciplina sportiva, ma “semplicemente” nella gara della vita di tutti i giorni.

Una delle regole base, infatti, per riuscire nello sport – e non solo – è proprio quella di una mente concentrata sull’obiettivo da raggiungere. “Il nostro cervello è progettato per mantenere l’attenzione a lungo e senza sforzo, a patto che ci si focalizzi su attività che vengano percepite come interessanti e intrinsecamente gratificanti”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Pietro Trabucchi, psicologo dello sport al seguito delle squadre nazionali italiane in tre olimpiadi, docente dell’Università di Verona e autore dei libri Resisto dunque sono e Opus, Edizioni Corbaccio.

La passione al centro
“In altre parole, se qualcosa ci appassiona noi siamo capaci di focalizzare in maniera costante l’attenzione – continua Trabucchi -. Se un’attività, che sia di tipo sportivo o lavorativa, diventa un impiego invece che l’espressione di una propria realizzazione, ecco che si incontreranno sempre problemi a rimanere concentrati. Se invece prevale la passione, le proprie capacità attentive possono essere ulteriormente ottimizzate: per farlo ci sono molti esercizi specifici che derivano spesso dalla pratica millenaria di allenamento dell’attenzione che conosciamo come ‘meditazione’. Sono esercizi che aiutano a rimanere focalizzati anche in situazioni emotivamente difficili o di sovraccarico di informazioni”.

Durante la performance può accadere di sbagliare qualcosa, di ritrovarsi improvvisamente in svantaggio o ritardo rispetto agli avversari. Quali errori non bisogna commettere?
“Gli errori capitano sempre e – in una certa misura – sono inevitabili. Per questo motivo credo che l’approccio del tipo ‘assolutamente vietato sbagliare!’ sia il modo più sicuro per generare nell’atleta ansia, insicurezza e distrazione. Il lavoro invece va guidato nella direzione di consentire gli errori in allenamento in modo da apprendere a gestirli. Se impari a gestire l’errore otterrai due risultati: 1. Sarai libero dalla paura di sbagliare. 2. Avrai enormemente arricchito la tua capacità di fronteggiare difficoltà e imprevisti, che in fondo sono il pane quotidiano dello sport”.

No al vittimismo

In uno sport individuale, pensiamo al tennis, possono avere un grande peso anche fattori esterni che distraggono o condizionano il proprio gioco: il tifo contrario, l’atteggiamento di sfida dell’avversario, ecc. Che fare per rimanere focalizzati sulla propria prestazione?
“Bisogna in primis imparare ad accettare come parte del gioco queste interferenze, in modo da togliere ogni spazio al vittimismo. In altre parole: se impari a pensare che tifo avverso o provocazioni sono la norma statistica e non la prova che il mondo è cattivo e ce l’ha con te, otterrai di depotenziare la reazione emotiva a queste cose. In questo modo esse cesseranno di essere una distrazione che ti distoglie dalla tua ‘bolla’ di concentrazione”.

Un contagio emotivo positivo

Negli sport di squadra, si possono attivare sinergie positive tra i compagni, durante un momento critico del match, come anche rischiare di scoraggiarsi…
“Nei gruppi umani esiste un fenomeno che si può definire ‘contagio emotivo’. Per esempio, se qualcuno si demotiva e si lascia andare, anche la motivazione degli altri elementi tende a scemare. Al contrario, se qualcuno crede nell’obiettivo e si entusiasma, può diventare un trascinatore nei confronti di tutti gli altri del gruppo. L’effetto positivo ha bisogno di alcune condizioni per realizzarsi: per esempio che ogni giocatore rappresenti una relazione significativa per l’altro. Se in un gruppo di atleti – ma questo vale anche tra colleghi di ufficio – ciascuno rappresenta per l’altro solo un nome o un semplice sconosciuto, il traino positivo non si realizza. Se non c’è una relazione forte, quindi una condivisione di valori, di esperienze e un’identificazione reciproca, la squadra non funziona: possono anche essere tutti bravi giocatori a livello individuale, ma il team non c’è. Per questo nei team ho sempre sostenuto quella che in vari libri ho definito ‘la manutenzione delle relazioni’: cioè le relazioni nella squadra non solo vanno costruite con solide fondamenta, ma anche costantemente nutrite e alimentate”.

La ricerca di un alibi

Lo sport si dice sia una sorta di maestro di vita. Che cosa si può imparare da queste indicazioni di fronte a una sfida nel mondo del lavoro, la ricerca di una nuova professione, i fallimenti?
“Lo sport non è altro che una grande metafora dell’esistenza quotidiana: ne rispecchia atteggiamenti, decisioni, valori, anti-valori, eroismi e viltà. Perciò a volte è un buon insegnante, altre volte un cattivo maestro. Lo abbiamo visto chiaramente in queste ultime olimpiadi: ci sono stati esempi altissimi di valore individuale e collettivo, di generosità e resilienza. Però c’è stato tanto vittimismo, inutili polemiche per giustificare le attese deluse, molta cultura degli alibi, piagnistei inutili. Poi quando un grande evento collettivo comincia a essere strumentalizzato dalla politica per me si tratta di un segnale di decadenza. Se si andasse avanti su questa linea, cosa diventerà lo sport professionistico in futuro? Qualcosa di sempre più condizionato dalla politica e dai governi che si intrometteranno per sindacare i risultati dei ‘propri’ atleti? In ogni caso, dallo sport utilizzato come strumento di evoluzione personale qualsiasi persona può apprendere alcune cose fondamentali per la vita quotidiana: l’autodisciplina; le coping skills – cioè la capacità di trovare strategie per fronteggiare le difficoltà e i problemi; la resilienza e la capacità di gestire lo stress; il gusto di accettare le sfide e di uscire dalla propria area di comfort”.