Da oltre tre settimane, cioè da quando Joe Biden si è ritirato dalla corsa alla Casa Bianca e Kamala Harris è diventata la candidata democratica, i conti per Donald Trump non tornano: è sotto nei sondaggi, su scala nazionale, negli Stati in bilico, fra i giovani – e questo è normale: i suoi fan sono maschi bianchi maturi e scarsamente istruiti – persino sul fronte dell’economia – e questo non era mai successo; ed è sotto anche nella raccolta dei fondi.
Chi gli sta intorno lo descrive costantemente di pessimo umore: gli vanno di traverso le grandi folle ai comizi della sua rivale, lui che si era ormai assuefatto ai comizi per pochi intimi del buon Joe. E così le spara più grosse del solito: dice che Harris trucca le foto dei suoi meeting – e viene smentito da una valanga di prove; si vanta che c’erano più gaglioffi ad ascoltare lui il 6 gennaio 2021 che ad ascoltare Martin Luther King il 28 agosto 1963 quando fece il celebre discorso “I have a dream” (per stare alle cifre, erano al massimo 50mila il 6 gennaio e almeno 300mila il 28 agosto).
Così Trump cerca conforto – e magari un rimbalzo – presso il suo nuovo amico Elon Musk, che gli aveva già riaperto le porte di X, dopo che Twitter lo aveva espulso a causa del 6 gennaio 2021, e che spende per lui 40 milioni di dollari al mese per procurargli 800mila elettori negli Stati in bilico. L’altra sera, Musk gli ha messo a disposizione la sua piattaforma per due ore di intervista soporifera con domande che i media americani definiscono “da softball” – per intenderci tipo quelle che Tg1 o Tg2 riservano ai politici dell’estrema destra di governo. Non tutto fila liscio, tra problemi tecnici attribuiti volta a volta a imprecisati hackers o a un eccesso di successo; e la trasmissione va solo audio, non video. Alla fine, questi i numeri: le sintonizzazioni sono state 23 milioni – globalmente, non solo americane – e i followers di Trump sono diventati 89,1 milioni – sul suo social Truth, dopo oltre tre anni, ne ha 7 milioni mezzo.
Ma i conti dell’operazione non tornano del tutto neppure per Musk. Lasciamo stare la coerenza, che non è un punto di forza per nessuno dei due compari: un anno fa, il patron di Tesla faceva campagna per l’avversario potenzialmente più temibile di Trump, il governatore della Florida Ron DeSantis. Ma, ora, è pappa e ciccia con un nemico finora giurato delle auto elettriche, tutto a favore delle auto della tradizione americana a combustibile fossile.
Vero è che Trump, nei suoi comizi, ha già cominciato a correggere la rotta: l’auto elettrica, purché americana e non cinese, può anche andare bene. E, poi, la detassazione per i ricchi che Trump intende reintrodurre porterebbe enormi vantaggi ai ‘paperoni’ statunitensi. Inoltre, Musk sta mettendosi al servizio dei leader ‘illiberali’ di tutto il mondo, da Trump a Orban passando per Meloni; e, dietro il paravento della libertà di espressione, trasforma X in una cassa di risonanza senza controlli di disinformazione e teorie cospirative.
Nell’intervista ‘volemose bene’, zeppa di reciproci salamelecchi, Trump non dice nulla di nuovo. ma offre un’antologia delle sue promesse/minacce: ripete che intende attuare la maggiore deportazione di migranti nella storia degli Usa e chiudere il ministero dell’Istruzione pubblica; definisce gli Usa un Paese in declino e Harris una radicale, “più a sinistra di Bernie Sanders”; denuncia, in sintonia con Musk, il pericolo di una Terza Guerra Mondiale; sostiene di aver ammonito il presidente russo Vladimir Putin perché non attaccasse l’Ucraina e rinnova la richiesta agli europei di pagare quanto gli americani per la difesa di Kiev; bolla come “colpo di Stato” la sostituzione di Biden con Harris e conferma che ad ottobre vuole tornare a fare un comizio sul luogo del fallito attentato del 13 luglio, a Butler, in Pennsylvania.
C’è pure il sospetto, o magari la speranza, che Musk ‘porti sfiga’ ai candidati che predilige: DeSantis non si riprese più, dopo il flop della presentazione su X della sua candidatura, e finì con il ritirarsi dalla corsa alla nomination al primo test, dopo lo Iowa; e anche l’intervista a Trump è cominciata con 40 minuti di ritardo ed è stata contrassegnata da problemi tecnici. Ma l’impressione è che ci voglia altro per abbattere il magnate, che ha più resilienza del governatore della Florida.
L’intervista lattemiele può essere un nuovo inizio per la candidatura claudicante dell’ex presidente. Ma potrebbe anche essere l’inizio della fine per i miti stazzonati di Trump e di Musk e pure per X, perché potrebbe accelerare la fuga dalla piattaforma in perdita di credibilità. Per contro, i numeri delle visualizzazioni e dei post generati potrebbero ‘rimotivare’ gli inserzionisti poco entusiasti della gestione Musk: la piattaforma segnala 73 milioni di visualizzazioni in tre ore per il post che annunciava l’intervista e quattro milioni di post sulla conversazione, che generano quasi un miliardo di visualizzazioni. Trump si pavoneggia “Un record storico, ma i media rifiutano di parlarne perché sono fake news”.
A proposito di fake news, ci sono almeno venti menzogne nelle parole dette da Trump e da Musk, soprattutto da Trump: i media gliele contano con fact checking accurati.