Paola Egonu, il murale deturpato e la pelle spraytata di rosa. Chissà chi è stato e quanta invidia deve provare se spera di cambiare la realtà con una pennellata vigliacca, di notte, di nascosto. Laika, autore del murale, credo s’aspettasse il “ritocchino”. In fondo l’opera vera (oltre il capolavoro della medaglia d’oro nella pallavolo femminile) è proprio lì: quel disegno che celebra la realtà di una donna italiana e la frustrazione di chi ha solo una bomboletta di rosa per provare che esiste.

L’opera è riuscita perché fa parlare di sé, certo, nonostante la semplificazione confonda marrone con nero, nonostante chi è bianco (rosa in realtà) si metta al sole per diventare nero (marrone per essere precisi), lo stesso colore che detesta nella pelle dell’altro. Questo colore, il nero, corrisponde più all’aria che tira in questo Paese che alla pelle di una donna, Paola, italiana. Una parte d’Italia è avallata nel farneticare forme di razzismo sui muri, quando c’è più “nero” in certe camicie che nella pelle di una delle più belle giocatrici italiane. Daniele da Volterra viene ricordato come il Braghettone, perché incaricato di mettere le mutande ai nudi di Michelangelo nella Cappella Sistina (ma era la Cappella Sistina). Come ricordare chi si prende la briga di coprire la diversità in una bravata notturna?

Son bravi tutti a fare gli “eroi” al buio, lo facessero di giorno, come chi scrive libri a rovescio o predica patria e famiglia alla luce del sole, perché questo Paese è autorizzato a non provar vergogna. Il problema non è rosa e nemmeno marrone. Per qualcuno Paola Egonu è troppo “nera” per essere italiana e per di più è donna. E la virilità nazionale è per la difesa della razza.

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