Non si vede ancora la luce in fondo al tunnel del maxi-dibattimento in corso dal luglio 2022 nel Tribunale del capoluogo ligure: il 23 settembre i giudici dovranno scegliere se disporre un'integrazione della maxi-perizia sulle cause del disastro già svolta in sede di incidente probatorio. Un nuovo accertamento che farebbe allungare i tempi di vari mesi
Sono passati sei anni tondi dal 14 agosto del 2018, quando il viadotto autostradale noto come ponte Morandi, che attraversava il Ponente di Genova, collassò su se stesso uccidendo 43 persone. Ma ne saranno già passati (almeno) sette quando il processo sul disastro arriverà al verdetto di primo grado. Non si vede ancora la luce, infatti, in fondo al tunnel del maxi-dibattimento in corso dal luglio 2022 nel Tribunale del capoluogo ligure, in una tensostruttura allestita solo a questo scopo nel cortile del Palazzo di giustizia. Gli imputati sono 59 tra tecnici e dirigenti, attuali e passati, della concessionaria Autostrade per l’Italia (Aspi), di Spea Engineering (la ex controllata che si occupava delle manutenzioni) e del ministero delle Infrastrutture, accusati a vario titolo di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro; tra loro l’ex ad di Aspi Giovanni Castellucci, gli ex super-manager Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti e l’ex provveditore alle opere pubbliche Roberto Ferrazza. Le parti civili sono 220, tra cui il Comitato dei parenti delle vittime, ammesso (con una decisione storica) nonostante la sua natura di soggetto costituito dopo il reato. Le due società Aspi e Spea, chiamate a rispondere in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, sono uscite dal processo tramite un patteggiamento, dimostrando di aver risarcito le vittime e di aver preso le misure necessarie per evitare il ripetersi dell’evento e versando allo Stato un totale di quasi trenta milioni di euro, somma equivalente al profitto del reato, cioè ai lavori mai eseguiti che nell’ipotesi della Procura avrebbero impedito il verificarsi del crollo.
In due anni si sono tenute 170 udienze e sono stati ascoltati 324 testimoni, tra cui gli ex ministri Graziano Delrio e Antonio Di Pietro, l’attuale ad di Autostrade Roberto Tomasi e Gianni Mion, ex ad di Edizione, la holding della famiglia Benetton, che controllava Autostrade prima della cessione allo Stato. Quest’ultimo, a maggio 2023, ha ripetuto in aula le dichiarazioni clamorose già rese ai pm in fase d’indagine, secondo cui già nel 2010 in una riunione del management emerse che il viadotto era a rischio crollo. Il dibattimento riprenderà l’11 settembre, ma è il 23 che il collegio giudicante – presidente Paolo Lepri, a latere Ferdinando Baldini e Fulvio Polidori – dovrà prendere una decisione fondamentale a proposito della ricostruzione delle cause del disastro: basarsi solo sulla maxi-perizia già svolta in sede di incidente probatorio (e quindi acquisita con valore di prova) o disporre, come chiedono le difese, un’integrazione di quello studio? Per capire il peso della questione serve ricordare che la perizia, depositata a dicembre 2020, individuava la ragione scatenante del crollo nella corrosione degli stralli, i tiranti d’acciaio ricoperti di calcestruzzo. E concludeva che i controlli e la manutenzione, “se fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell’evento”. La tesi degli avvocati, sostenuta in alcune consulenze di parte, è invece – in estrema sintesi – che esistesse un vizio occulto non individuabile, capace di causare il disastro a prescindere dalle omissioni del gestore. E proprio su questo dovrebbe far luce l’integrazione della perizia.
Se i giudici, come probabilmente avverrà, decideranno di ordinare nuovi accertamenti, i tempi del giudizio potrebbero però dilatarsi di moltissimo, facendo diventare concreto il rischio di prescrizione anche per alcuni dei reati più gravi. Quelli minori infatti stanno già gradualmente andando in fumo: le omissioni d’atti d’ufficio hanno iniziato a prescriversi a ottobre 2023, i falsi a giugno 2024. Il 14 febbraio 2026 – sette anni e mezzo dopo il disastro – si estingueranno invece gli omicidi colposi (e le lesioni colpose) stradali e aggravati dalla violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro per gli imputati cessati dalle cariche prima dell’8 dicembre 2005, quando è entrata in vigore la legge “ex Cirielli” che ha ridotto i termini di prescrizione. Tra loro ci sono alcuni dei dirigenti di maggior peso finiti alla sbarra: ad esempio Pierluigi Ceseri (amministratore delegato di Aspi dal ’94 al 2000) e l’ingegner Gabriele Camomilla (direttore tecnico fino al 2005). Arrivare a una sentenza definitiva entro quella data è già impossibile, a maggior ragione con l’integrazione della perizia, che richiederebbe mesi per essere realizzata e discussa. Nel caso venga disposta, l’istruttoria dibattimentale si concluderebbe probabilmente alla fine dell’anno prossimo: poi toccherebbe alle conclusioni delle parti (centinaia tra imputati e parti civili) e solo allora si potrebbe giungere alla sentenza di primo grado. A 2026 inoltrato, quando dalla strage saranno passati quasi otto anni.
Come ogni anno a Genova si terrà la cerimonia istituzionale in ricordo delle vittime, che inizierà alle 9 con la messa celebrata dall’arcivescovo Marco Tasca nella chiesa di San Bartolomeo della Certosa, il quartiere su cui svettava il viadotto. Alle 10:45, alla Radura della memoria sotto il nuovo Ponte San Giorgio, inizieranno le commemorazioni presenza del sindaco di Genova Marco Bucci, dell’imam Salah Hussein, del prefetto di Genova Cinzia Torraco, del governatore ad interim di Regione Liguria Alessandro Piana e del viceministro alle Infrastrutture e Trasporti Edoardo Rixi, che avrà la delega della presidenza del Consiglio dei Ministri. All’ingresso della radura, dove è stata collocata la piastra metallica con i nomi di tutte le vittime, saranno posizionate le corone del Presidente della Repubblica, della presidenza del Senato e del Consiglio dei Ministri e dei parenti delle vittime. Che non nascondono la loro frustrazione per l’oblio mediatico sulla vicenda: “Il 14 agosto 2018 è lo spartiacque della nostra nuova vita. Un altro anno è trascorso nel silenzio più assoluto, mentre a livello nazionale tutto è ormai dimenticato noi ogni giorno combattiamo e tra le udienze in tribunale, un disegno di legge che solo negli ultimi giorni pare abbia preso una forma, il lavoro instancabile per il memoriale, riunioni, messaggi, discussioni”, scrive Giovanna Donato, ex moglie di Andrea Cerulli, portuale morto mentre andava al lavoro a causa del crollo. Il 14 agosto, scrive, “dovrebbe essere lutto nazionale perché quello che è accaduto riguarda tutti, la sicurezza di ogni cittadino. E invece le autorità politiche che si riempiono solo la bocca di frasi fatte sui giornali e tutto finisce lì, in quel maledetto silenzio assordante“.