Crime

Emanuela Orlandi, gli audio esclusivi: “Vogliamo trattare con il Papa. Una prova che la ragazza è viva? Questo lo dice lei ora”. La telefonata dell’ultimatum

Un anonimo telefona al settimanale Famiglia Cristiana: “Se entro il 31 luglio 1983 non libererete Alì Agca, uccideremo Emanuela Orlandi. Siamo i rapitori di Emanuela Orlandi. Uccideremo Giovanni Paolo II"

di Alessandra De Vita

La scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei misteri più oscuri e complessi del nostro Paese. Mentre ci sono tre inchieste aperte per far luce sul caso della 15enne vaticana scomparsa nel 1983, proponiamo una ricostruzione accurata delle prime fasi della vicenda, con audio dell’epoca per concessione di Pietro Orlandi.

L’ultimatum

Il 17 luglio del 1983 Papa Giovanni Paolo II, dalla residenza estiva di Castelgandolfo, lancia, per la terza domenica di seguito, un appello per Emanuela Orlandi. La Polizia non riesce a incastrare l’Amerikano ma alla 16esima telefonata smantella quasi tutte le cabine telefoniche di Roma nel tentativo di incastrarlo per circoscrivere le sue possibilità. Quando telefona da un bar di Porta Pinciana, gli agenti sono pronti a catturarlo ma restano imbottigliati nel traffico, vedono un uomo uscire da una cabina ma non riescono a catturarlo. Scompare nella folla. Le telefonate nel corso dei mesi sono più di trenta, senza contare quelle alla famiglia Orlandi. Non vengono fatte dallo stesso individuo con accento straniero. C’è anche chi parla un perfetto italiano, per esempio, nelle telefonate all’Ansa. Nessuno di quanti rivendicano il rapimento di Emanuela riesce a dare uno dimostrare un solo contatto con la ragazza. Non può trattarsi solo di un depistaggio, c’è qualcos’altro: qualche altro tipo di interesse dietro. Il 19 luglio, negli ambienti giornalistici si parla di un nuovo scenario: la scomparsa di Emanuela sarebbe connessa alla sinistra vicenda della morte di Roberto Calvi, il “banchiere di Dio” che fu al centro della scandalosa bancarotta del Banco Ambrosiano che coinvolse anche la banca del Vaticano, lo Ior, maggiore azionista dell’Ambrosiano.

Emanuela sarebbe finita “in prestito” ad una organizzazione che avrebbe gestito il suo sequestro allo scopo di ricattare il Vaticano. La posta in gioco potrebbe essere una somma di denaro o il possesso di importanti documenti. Il 20 luglio il Papa, al termine dell’udienza pubblica, inaspettatamente invita 35mila fedeli “a pregare per questa ragazza, Emanuela Orlandi, e per i suoi familiari che sono tanto provati”. Questa è la quarta volta che Wojtyla fa esplicito riferimento al rapimento di Emanuela. Il 22 luglio, nell’edizione delle 13,30 del TG1, lo zio di Emanuela Mario Meneguzzi annuncia alla persona, alle persone o al gruppo che detengono Emanuela che da questo momento tutte le comunicazioni dovranno essere fatte all’avvocato Gennaro Egidio, il solo rappresentante autorizzato per tutte le questioni connesse con la scomparsa di Emanuela” ma precisa che questa iniziativa non esclude la linea riservata aperta del Vaticano. Il 24 luglio All’Angelus domenicale il Papa lancia un nuovo appello per la liberazione di Emanuela. Gli ultimatum sono tanti e arrivano da più fonti diverse tra loro.

Un anonimo telefona al settimanale Famiglia Cristiana: “Se entro il 31 luglio 1983 non libererete Alì Agca, uccideremo Emanuela Orlandi. Siamo i rapitori di Emanuela Orlandi. Uccideremo Giovanni Paolo II. Se abbiamo fallito il 13.5.1981 questa volta non falliremo. Salam”. In quei giorni un uomo dall’accento straniero telefona all’avvocato Egidio, per ribadire la volontà di trattare del rapimento della ragazza soltanto con le autorità ecclesiastiche. Intanto, sbuca fuori un altro nome: il fronte anticristiano Turkesh. Quest’uomo gli chiede di non dire di queste telefonate “Perché la sua nomina legale è motivo della possibilità di estorsione quindi gli ribadiscono di voler trattare direttamente col pontefice e tutt’al più con la governance italiana. “Il Papa può perorare la causa e non vogliamo trattare con dei privati perché questo può dare un’interpretazione sbagliata, come se si trattasse di estorsione”.

Non sono i soldi che vogliono, insomma. “Lei non dichiari mai il nostro rapporto e le nostre comunicazioni”, lo rabbonisce l’uomo. Egidio intanto gli chiede di aiutarlo a individuare chi sono questi uomini del fronte turco anticristiano. Ma l’uomo straniero dice di non saperne niente e risponde che “è gente malata”, ignora tutto ciò. E aggiunge lapidario: “Esiste una possibilità che si dia una nuova prova attraverso una nuova vittima, questa è l’unica cosa a cui portano gli inquirenti (con fughe di notizie, ndr). L’avvocato chiede all’uomo di dargli una prova che Emanuela sia viva ma “che la ragazza è viva, questo lo dice lei ora”, gli risponde lo straniero per poi tagliare corto.

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