Sono centinaia di migliaia i lavoratori della grande distribuzione organizzata che lavoreranno a Ferragosto. Molte catene di supermercati, infatti, hanno deciso di rimanere aperte per la festa agostana, per permettere ai consumatori gli acquisti dell’ultimo minuto. E non solo nelle località di villeggiatura, dove i flussi turistici di questo periodo rendono necessaria l’apertura degli esercizi commerciali, ma anche nei centri meno battuti. Le catene dei supermercati hanno potuto “deciderlo” perché in Italia, diversamente da quanto accade negli altri Paesi europei, la legge non prevede alcun limite alle aperture delle attività commerciali. Si può lavorare 365 giorni l’anno, anche 24 ore su 24, senza salvaguardare le domeniche e i festivi. Siamo l’unico Paese in cui la scelta sulle aperture e le chiusure spetta esclusivamente alle imprese. Questo dal 2011, dalle liberalizzazioni contenute nel decreto salva Italia del governo Monti. La norma svuotò Comuni e Regioni da ogni ruolo decisionale riguardo la regolamentazione territoriale. Con la libera concorrenza, la contrattazione tra enti locali e imprese, necessaria per decidere quando e a che condizioni lavorare, è sparita. “Ora tutto il potere è in mano alle imprese – commenta a ilfattoquotidiano.it Alessio Di Labio, della segreteria nazionale Filcams Cgil -. Queste scelte volte al profitto non hanno portato nessun beneficio al sistema. Non c’è stato un miglioramento delle condizioni di lavoro, né un aumento dell’occupazione. Solo del disagio familiare a cui sono costretti i lavoratori”.
Per questo il sindacato del terziario ha chiesto ai cittadini di non andare a fare la spesa a Ferragosto, per boicottare la scelta dei supermercati. “Non è che tenendo aperto un giorno in più, le persone fanno più spesa – spiega Di Labio -. Cambia solo il giorno in cui la fanno. Il consumatore italiano non è più ricco perché i negozi restano più aperti. Il potere d’acquisto resta lo stesso. Solo che viene ripartito su giornate diverse”. Il tema non è tenere chiusi a prescindere i supermercati durante i festivi, bensì avere una regolamentazione più efficace. Pianificare meglio le aperture, in funzione delle reali necessità della comunità. Prima del 2011, erano le Regioni e i Comuni a regolamentare le aperture, territorio per territorio. Gli enti locali aprivano dei tavoli di contrattazione con le parti sociali, con l’obiettivo di trovare una sintesi tra i bisogni delle imprese, dei lavoratori e del territorio. “Ora è tutto in mano alle aziende che non hanno più limiti. E solo da noi è così”, commenta Di Labio. In Francia, per esempio, l’apertura dei negozi la domenica è soggetta a una rigida regolamentazione. È servita una deroga, motivata dalla previsione di un afflusso eccezionale di turisti, per far sì che le attività potessero rimanere aperte, su base volontaria, durante le domeniche dei Giochi Olimpici 2024. Si è trattato quindi di aperture eccezionali che comportano, spesso, anche un aumento straordinario delle vendite. E quindi un potenziale vantaggio economico per il settore. “Il sistema italiano invece semplicemente spalma le vendite della settimana anche sul weekend. Non ci sono vendite straordinarie e quindi ciò non comporta alcun beneficio”, spiega il sindacalista.
Vale in Francia ma anche in Spagna, Germania, Belgio, Olanda, Regno Unito. Negli altri Paesi ci sono restrizioni precise sugli orari e sui giorni di apertura. “Perché se vado all’estero ed è festivo devo trovare chiuso e in Italia deve sempre essere tutto aperto, ha senso?”, si chiede il rappresentante sindacale. “Quello del commercio è un servizio necessario, ma non è un servizio essenziale che deve stare aperto per forza la domenica o nei festivi. Non è un ospedale o un trasporto pubblico – prosegue -. Nessuno vuole far chiudere i negozi, ma si può vivere anche se non sono aperti tutte le domeniche”. Soprattutto perché a farne le spese sono i lavoratori. Nei nuovi contratti collettivi nazionali del terziario, firmati dai sindacati e dagli organismi di rappresentanza delle imprese lo scorso aprile – erano scaduti dal 2019 -, non ci sono sostanziali differenze nel riconoscimento salariale del lavoro festivo. “Ci sono stati degli aumenti di stipendio. Ma la contrattazione sui festivi in questi anni è rimasta inalterata a com’era prima del decreto Monti”, spiega ancora Di Labio. Con le liberalizzazioni, i sindacati e le parti datoriali non sono riusciti a trovare un punto di contatto. I contratti collettivi nazionali dispongono maggiorazioni per le domeniche che oscillano tra il 30 e il 35%. In determinate aziende, con la contrattazione integrativa – quella che avviene internamente alle singole imprese – si può arrivare fino al 50-60%. Ma ci sono molte catene di discount o di supermercati in cui viene garantita solo la maggiorazione stabilita dal contratto collettivo nazionale. “Anche su questo aspetto – specifica il rappresentante della Filcams Cgil – negli ultimi anni la tendenza è stata quella di risparmiare sul costo del lavoro“. Per Ferragosto, invece, la condizione economica garantita al lavoratore è diversa: “La giornata è pagata come straordinario. Quindi alla maggiorazione del 30% viene aggiunto un 100% per la prestazione straordinaria”.
Inoltre, c’è tutto il tema dei contratti atipici. Questi lavoratori rimangono scoperti e subiscono il ricatto del precariato. Nonostante il lavoro festivo sia su base volontaria – ed è per questo che deve essere pagato come straordinario -, chi è appeso a un filo spesso non ha la possibilità di esprimere la sua preferenza. “Se mi scade il contratto, dire di no al padrone è sempre complicato. Per questo i lavoratori con contratti a tempo determinato sono quelli più a rischio”, chiosa Di Labio. A questo si aggiunge il fatto che, in questo settore, avere un fine settimana libero è praticamente impossibile. Nel caso in cui un dipendente abbia la domenica libera, può stare sicuro di dover lavorare il sabato. È molto difficile anche avere due riposi di fila: viene vista come una gentile concessione che si fa ogni tanto a qualche lavoratore. “La politica è in silenzio su questo tema. Ci torna su ogni tanto con qualche dichiarazione, qualche tormentone, quando c’è l’occasione. Per esempio a Ferragosto – conclude Di Labio -. Ma non dimostrano reale interesse. Il liberismo sfrenato ha portato a far sì che una sola parte possa decidere per tutti gli altri. In una società democratica, fatta di parti sociali e di interessi diversi, bisogna arrivare a soluzioni mediate che diano una risposta a tutti”.