Inondazioni, incendi, frane, ma anche temporali con grandinate e venti fortissimi, sono tutti eventi meteorologici estremi e purtroppo sempre più frequenti, che non si limitano a mietere vittime: sono pure costosi e, soprattutto nelle aree rurali e più povere, particolarmente impattanti per le donne e le identità non binarie. Solo per i primi sei mesi dell’anno, il gruppo riassicurativo Swiss Re – leader mondiale nell’ambito assicurativo e riassicurativo – ha stimato a 120 miliardi di dollari i costi per i danni causati dagli eventi meteorologici estremi: una crescita su scala globale del 62% rispetto alla media dell’ultimo decennio. In particolare, e sempre rispetto all’ultimo decennio, nel primo semestre di quest’anno sono aumentati dell’87% i danni provocati dalle tempeste connettive, cioè quei temporali sempre più frequenti accompagnati da trombe d’aria e grandinate. E oltre ai danni economici, in gioco ci sono le vite umane.

Morire di maltempo
Per le donne e le identità non binarie, il rischio è superiore 14 volte rispetto a quello degli uomini: e questa è solo una delle tante modalità con cui il cambiamento climatico impatta su di loro, documentata in un ampio report australiano di recente pubblicazione, curato da Women’s Environmental Leadership Australia (WELA). Che mettono subito in chiaro: “La ricerca dimostra che le donne sono colpite in modo sproporzionato dal cambiamento climatico”. In realtà la problematica non è nuova agli addetti ai lavori: fin dall’inizio del XXI secolo, grazie al crescente corpus di ricerche a livello internazionale, le Nazioni Unite riconoscono il legame tra problematiche ambientali e gender. Nel 2022, per esempio, un report dell’ONU segnalava che l’80% di chi è costretto a spostarsi a causa di un disastro ambientale è donna.

Addio benessere
Le ricercatrici australiane hanno analizzato i diversi ambiti nei quali è più evidente la vulnerabilità femminile ai cambiamenti climatici, a partire dal benessere. Salute e violenza sono due tematiche scottanti in seguito agli eventi estremi. I disastri ambientali hanno chiaramente conseguenze sulla salute delle persone coinvolte per la carenza di acqua, l’insicurezza alimentare, la diffusione delle infezioni. Ma a farne le spese è soprattutto il sesso femminile. “Le donne sperimentano impatti sulla salute differenti e acuiti da eventi come ondate di calore o incendi boschivi. È particolarmente a rischio la salute mentale e fisica delle gravide e delle nutrici, delle disabili, delle persone non binarie, delle donne anziane e di quelle native”, scrive il report. Già da una metanalisi di qualche anno fa, eseguita su 130 studi, emerse che nel 68% di essi erano le donne le principali vittime per i motivi più diversi: una maggiore difficoltà a trovare assistenza sanitaria in situazioni delicate come la gravidanza e l’allattamento, il maggior rischio di morire di ondate di calore in India, Cina e Francia, e per cicloni tropicali in Bangladesh e nelle Filippine. L’altra, drammatica questione è l’aumento della violenza di genere in seguito al disastro ambientale, ben documentato dagli studi. Denuncia infatti Michelle Bachelet dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani; “Mentre dormono, si lavano, fanno il bagno o si vestono nei ricoveri di emergenza, nelle tende o nei campi, il rischio di violenza sessuale è una tragica realtà delle loro vite di migranti o profughe”.

Perché proprio le donne?
Wela parla di “Fattori convergenti, tra cui la diversità culturale e linguistica, lo status socio-economico, la salute e la disabilità, che amplificano la vulnerabilità delle donne e delle persone di diverso genere davanti al cambiamento climatico”. Non si tratta di una questione fisiologica, alla base di tutto ciò c’è un problema di fondo: nella vita di tutti i giorni, quasi sempre il sesso femminile si trova in una posizione socio-economica svantaggiata. Gli eventi climatici estremi non fanno che aggravare la problematica. Nei paesi poveri, le donne lavorano nei campi e sono più esposte ai rischi ambientali. Inoltre hanno un accesso limitato a mezzi pubblici e privati e sono ulteriormente ostacolate perché sono loro a farsi carico degli individui più vulnerabili – bambini, anziani e malati. Così la disparità di genere, che caratterizza fin troppe realtà, pone le donne in una posizione più fragile nel momento dell’emergenza.

Nonostante ciò, la loro voce non viene ascoltata a sufficienza. Basti pensare che alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 28), svoltasi a fine 2023, su un totale di 148 le relatrici erano solo 15, e le donne erano appena il 38% delle delegazioni governative. Eppure, la ricerca ha mostrato chiaramente che l’intervento femminile avrebbe un impatto molto positivo. “Le donne e le persone non binarie sono più che vittime passive del cambiamento ambientale. Sono anche partecipanti attive nel risolvere queste sfide, offrendo prospettive e soluzioni distintive e indispensabili”, sottolinea il report.

Un prezioso contributoParadossalmente le diseguaglianze tra i sessi, che come abbiamo visto portano a una maggiore vulnerabilità delle donne nelle catastrofi climatiche, incidono negativamente pure sull’ambiente e sulla biodiversità. Secondo un’analisi del 2022 del Forum economico mondiale, basta aumentare dell’1% le donne manager per ottenere una riduzione dello 0,5% delle emissioni di carbonio aziendali. E nel 2021 uno studio dell’associazione di ricerca BloombergNEF dimostrava la possibilità di una governance più efficace e concreta in materia di clima e biodiversità incrementando il numero di donne in posti dirigenziali. Stessi vantaggi con una maggiore rappresentanza femminile nelle istituzioni politiche o nelle organizzazioni della società civile.

Pure le donne di aree rurali hanno un ruolo importante: spesso sono loro a lavorare la terra e a conoscere meglio i bisogni ambientali. Così, per favorire il raggiungimento degli obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, già da qualche anno l’ONU ha avviato un programma che coinvolge maggiormente il sesso femminile nella salvaguardia delle risorse naturali. L’intenzione è puntare a un management che interessi ugualmente donne e uomini nelle decisioni a tutti i livelli. Per esempio in America Latina sono già stati avviati corsi di manager della biodiversità per le costaricane. Così, da vittime del cambiamento climatico le donne potranno posizionarsi in prima linea contro di esso.

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