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A Doha i colloqui sul cessate il fuoco a Gaza. Per gli Usa “l’inizio è promettente”. Ma potrebbero andare avanti fino a venerdì

“Un inizio promettente“. Si è detto fiducioso John Kirby, parlando alla Cnn dei colloqui in corso in queste ore a Doha, in Qatar, per raggiungere un accordo di cessato il fuoco a Gaza e garantire il rilascio di decine di ostaggi. “I colloqui stanno andando avanti”, ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. “Oggi ci concentriamo sui dettagli dell’implementazione. Non prevediamo di uscire da oggi con un accordo, prevediamo che continuino anche domani“, ha aggiunto. Più nello specifico, puntualizza Kirby, “non è che stiamo avendo un dibattito sulla struttura dell’accordo. Siamo a un punto in cui è generalmente accettato e in cui le lacune sono nell’esecuzione dell’intesa, nei singoli movimenti muscolari che ne accompagnano la messa in atto”.

Le parti e gli obiettivi – Attorno al tavolo, a Doha, ci sono il capo della Cia William Burns, il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel, oltre al capo del servizio segreto estero israeliano Mossad, David Barnea. Hamas non partecipa ai colloqui, ma i suoi dirigenti si trovano comunque in città e saranno aggiornati dai negoziatori qatarioti ed egiziani: il portavoce Sami Abu Zahari ha affermato che il gruppo è “impegnato nella negoziazione”, invitando “i mediatori a fare pressione su Israele affinché accetti la fine della guerra e il ritiro di tutte le forze dalla Striscia”. Due gli obiettivi: la tregua a Gaza e il rilascio di alcune decine di ostaggi. Ma il raggiungimento di un accordo è visto anche come la migliore opzione per evitare un conflitto regionale ancora più ampio. I diplomatici sperano che la tregua possa persuadere l’Iran e il gruppo libanese Hezbollah a non rispondere all’omicidio di un alto comandante del partito di Dio, Fouad Shukr, in un attacco aereo israeliano a Beirut e all’uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, in un raid a Teheran. “Abbiamo informazioni che l’Iran si sta preparando ad attaccare Israele, ciò potrebbe avvenire senza preavviso o con brevissimo preavviso. Stiamo ancora lavorando per impedirlo”, ha riferito Kirby alla stampa.

Il contesto – L’incontro di Doha si tiene mentre il bilancio delle vittime palestinesi della guerra nella Striscia, che va avanti dal 7 ottobre, ha superato i 40mila morti secondo il ministero della Sanità di Gaza. I mediatori hanno trascorso mesi cercando di mettere a punto un piano in tre fasi in base al quale Hamas dovrebbe rilasciare decine di ostaggi in cambio di una tregua duratura, del ritiro delle forze israeliane da Gaza e del rilascio di palestinesi imprigionati da Israele. Il piano era stato annunciato dal presidente Usa Joe Biden il 31 maggio, presentandolo come israeliano: entrambe le parti lo hanno accettato in linea di principio, ma Hamas ha proposto “emendamenti” e Israele ha suggerito “chiarimenti”, portando ciascuna parte ad accusare l’altra di avanzare nuove richieste che nessuna delle due può accettare. Hamas ha respinto le ultime richieste di Israele, che includono una presenza militare duratura lungo il confine con l’Egitto e una linea che divide Gaza in due lungo la quale le Israeli Defense Forces (l’esercito di Tel Aviv) sarebbero autorizzate a perquisire i palestinesi che tornano alle loro case, per sradicare la presenza di militanti. Il portavoce di Hamas, Osama Hamdan, ha dichiarato all’Associated Press che il gruppo è interessato solo a discutere l’attuazione della proposta di Biden e non a ulteriori negoziati sul suo contenuto. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu nega che Israele abbia avanzato nuove richieste, ma ha anche ripetutamente sollevato dubbi sulla durata del cessate il fuoco, affermando che Israele rimane impegnato per una “vittoria totale” contro Hamas e per il rilascio di tutti gli ostaggi.

I punti critici – Le due parti sono divise anche sui dettagli dello scambio fra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, in particolare su chi fra i prigionieri palestinesi avrebbe diritto al rilascio e se l’opzione sia mandarli in esilio o meno. Hamas ha chiesto il rilascio di militanti di alto profilo condannati per aver orchestrato attacchi in cui sono stati uccisi cittadini israeliani. La disputa più intricata riguarda la transizione dalla prima fase del cessate il fuoco proposto – in cui verrebbero stati rilasciati donne, bambini e altri ostaggi vulnerabili – alla seconda, in cui dovrebbero essere liberati i soldati israeliani prigionieri e dovrebbe entrare in vigore un cessate il fuoco permanente. Hamas teme che Israele riprenda la guerra dopo il rilascio del primo gruppo di ostaggi e Israele teme che Hamas trascini all’infinito le trattative per il rilascio degli ostaggi rimanenti.

Il portavoce di Hamas Hamdan ha fornito documenti che dimostrano che il gruppo islamista aveva accettato una proposta ponte degli Stati Uniti, secondo la quale i colloqui sulla transizione sarebbero iniziati entro il 16° giorno della prima fase e si sarebbero conclusi entro la quinta settimana. Più di recente Hamas si è opposto a quelle che sostiene essere nuove richieste israeliane di mantenere una presenza lungo il confine fra Gaza ed Egitto e una strada che divide il nord e il sud di Gaza. Israele dal canto suo nega che si tratti di nuove richieste, affermando di aver bisogno di una presenza lungo il confine per prevenire il contrabbando di armi e di dover perquisire i palestinesi che rientrano nel nord di Gaza per assicurarsi che non siano armati. Le richieste sono state rese pubbliche solo di recente. Hamas ha chiesto il ritiro completo dell’esercito israeliano, che faceva parte di tutte le versioni precedenti della proposta di cessate il fuoco, secondo i documenti condivisi con AP e verificati da funzionari coinvolti nei negoziati.