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Concordato preventivo, l’ultima mossa di questa riforma fiscale hardcore

L’ultimo modulo della riforma fiscale del governo Meloni è il cosiddetto concordato preventivo, un accordo biennale per il 2024-25 in base al quale lo Stato rinuncia ai controlli e il contribuente autonomo accetta il reddito presunto, e il conseguente carico fiscale, deciso dallo Stato. È la definitiva politicizzazione del fisco, almeno per una vasta platea di contribuenti, autonomi e imprese. In questo modo si dovrebbe ridurre l’evasione, legalizzandola di fatto, e incassare più soldi, quelli che servono per sistemare il bilancio dello Stato per l’anno prossimo, operazione rovente. Per timore di un flop, però, il ministro Leo ha inserito una super flat tax, cioè una tassazione con aliquota unica (10%) e bassa sulla differenza tra il reddito del 2023 e quello concordato per il 2024 e 2025.

Commentando questo ultimo provvedimento un noto quotidiano nazionale (Corriere della Sera) ha parlato di una specie di hard discount fiscale. Tutti conosciamo questi negozi dove si spende poco, ma anche la qualità non è sempre la migliore. Un giusto compromesso, insomma, che può andare benissimo in periodi di vacche magre. Questa metafora però è sinceramente fuorviante nel caso del nuovo concordato fiscale e non coglie nel segno. Infatti, chi in definitiva arriverà a pagare meno tasse, e anche molto di meno, non acquista un prodotto di qualità inferiore. Lo Stato sociale offre a tutti i suoi servizi indistintamente, a chi paga e a chi no. Non c’è nessun servizio di qualità inferiore, del tipo hard discount. Bisognerebbe, per ragioni di equità, che chi evade pagasse di più per la sanità, la scuola e così via. Oppure si rivolgesse solo ai privati, a pagamento. Ma così non è. Per cui i tartassati dal fisco, pensionati e lavoratori dipendenti, esclusi da ogni sconto fiscale, pagano anche per i fortunati che hanno accesso ad un contratto fiscale (scellerato) con lo Stato.

Di metafora in metafora, farei cadere il temine discount e terrei solo il primo, hard. Il fisco della Meloni, in quest’ultima versione è un fisco hard, nel senso che oramai è invalso, cioè di qualcosa di pornografico. Dal fisco dolce annunciato dal ministro Leo mesi fa si sono perse le tracce e siamo degradati al fisco hard. Si può dire che anche il fisco del governo Meloni abbia qualcosa di erotico ed eccitante, soprattutto quando il potere politico offre a determinate categorie di contribuenti la possibilità di pagare molte meno tasse rispetto a quelli normali. Il carattere pornografico, nel nostro caso uno smaccato favoritismo fiscale per gli evasori o presunti tali, è la super flat tax di cui potranno godere i contribuenti autonomi e imprese aderenti. Infatti il decreto attuativo ha previsto che questi contribuenti paghino un’aliquota ridotta al 10% sulla differenza tra il redito concordato per il biennio 24-25 e quello del 2023.

Che cosa significa questo dettaglio? L’arcano ci è documentato dai tributaristi del quotidiano di Confindustria che hanno fatto alcuni calcoli. L’adesione a questo meccanismo di tassazione sostitutiva produce un risparmio d’imposta sul reddito aggiuntivo nel biennio tra il 50 e il 70%, a seconda dei vari casi. Questo scandaloso vantaggio fiscale dovrebbe indurre gli evasori ad accettare la proposta governativa. Il patto è chiaro: tu dichiari di più e lo Stato ti tassa molto di meno. Con un risultato curioso: forse diminuisce l’evasione ma il gettito non aumenterà a causa dell’aliquota bassissima.

Da dove deriva questo gigantesco privilegio fiscale? Qui non ci sono veramente misteri. Tra i vari casi, i due tributaristi del Sole 24 Ore considerano l’ipotesi di un ingegnere che ha dichiarato per il 2023 un reddito di circa 93.000 euro, poi diventato con il concordato 98.750 per il 2024 e 104.569 nel 2025. In questo caso, tralasciando i dettagli, il risparmio biennale per il fortunato professionista è di circa 5.400 euro, pagando 1.648 euro di tasse invece che 7.090, riduzione che risulta superiore al 70%. Risparmio peraltro facilmente calcolabile perché invece di pagare un’aliquota marginale del 43%, ne paga sul reddito aggiuntivo una del 10%. Tutti i lavoratori dipendenti o pensionati vorrebbero pagare da un certo punto in su un’aliquota del 10%, sottoscritto compreso. Ma lo Stato non concede loro questa possibilità perché, paradossalmente, non sono evasori o non lo sono abbastanza. Un fisco totalmente impazzito, insomma, che premia abbondantemente chi è in odore di evasione.

Fisco hard discount oppure fisco hardcore, a seconda delle versioni più o meno spinte: non si era mai vista una manovra così disperata sia sotto il profilo morale che sotto quello economico. Sotto il profilo morale perché ormai è chiaro che si è calpestato ogni principio di legalità e di equità tra contribuenti, premiando a go-go quelli disonesti. Sotto quello economico, perché sarà interessante capire quale sarà il gettito aggiuntivo che deriverà da questa assurda manovra fiscale. Aumentando forzatamente il reddito degli autonomi ma con un’aliquota ridicola, il risultato di un maggior gettito non è scontato. Molto meglio si poteva fare col fisco tecnologico, se solo si fosse voluto. Poi che questa manovra sia incostituzionale, come alcuni autorevoli studiosi hanno notato, è indubbio e qualcuno dovrebbe farsene carico a livello istituzionale, anche a destra se solo fosse rimasto un briciolo di spirito di legalità e di credibilità politica.

Si poteva fare meglio di questo fisco meloniano a trazione hardcore? Sì, bastava dare a tutti i contribuenti la possibilità di pagare un’aliquota del 10% sui redditi aggiuntivi del 2024-2035. Proposta fiscalmente stupida? Può darsi, ma almeno risultava equa. Così invece di regalare migliaia di euro a più di 3 milioni di autonomi e imprese, si poteva offrire la sempre annunciata riduzione di tasse anche ai 16 milioni di lavoratori dipendenti e ai 17 milioni di pensionati, che invece devono pagare le tasse future con aliquota doppia o tripla. Tra l’altro, la flat tax sul reddito aggiuntivo per i lavoratori dipendenti era stata promessa in campagna elettorale proprio dalla premier Meloni. Promessa mantenuta, ma solo per i contribuenti disonesti.

Ormai è chiaro che gli evasori nostrani per trovare un paradiso fiscale non devono andare molto lontano, ma contare comodamente sul governo Meloni, almeno per il biennio 24-25, le annate migliori di sempre per loro che sentitamente ringraziano. La destra-destra ha trasformato in due anni l’Italia nel Bel Paese di chi non paga le tasse, senza alcuno scandalo o vergogna.