E se per provare a dare un senso alle nostre vite fosse necessario eliminare il superfluo? È di questo avviso Alessandro Cuneo, 24 anni, milanese, in viaggio da otto. Un’epifania precoce, che condiziona le sue scelte di vita dopo il diploma, quando, dopo cinque anni in un liceo scientifico di Milano, non solo non sa cosa fare all’università, ma sente di aver perso ogni entusiasmo tra le aule e i corridoi di quell’Istituto superiore in zona San Siro. Da Milano a Pampa Cangallo (Perù) è un passo da diecimila chilometri, e come ogni passo proverbialmente più lungo della gamba, può avere solo due esiti possibili: il pentimento di chi si renda conto di essere stato avventato, o l’entusiasmo (in questo caso ritrovato) di chi uscendo dai confini di una vita apparentemente predeterminata scardini tutte le proprie convinzioni e scompagini le precedenti priorità. Per fortuna o per destino – ché etimologicamente sono sinonimi – i sei mesi nelle Ande sono proprio il grimaldello che permette ad Alessandro di mettere in discussione la vita milanese e il suo futuro.

Sono passati otto anni da quel primo, lunghissimo passo. E da allora Alessandro il “vagamondo” – come ama definirsi – non si è mai fermato: dall’America Latina all’Asia Centrale, dal vendere pizze al raccogliere cipolle, dall’insegnamento dell’italiano al lavoro in una ricicleria nel mezzo del deserto. Nel frattempo una laurea in Scienze diplomatiche e relazioni internazionali all’Università di Bologna e l’intenzione di non fermarsi. “Prima di partire credevo esistesse solamente un tipo di vita, poi ho scoperto che non è così”, racconta a Ilfattoquotidiano.it. “Viaggiare mi ha permesso di capire quanto siamo fortunati e privilegiati a essere nati in questa parte del mondo, ma anche quanto siano relative le priorità”.

A Pampa Cangallo Alessandro fa il volontario. I locali lo chiamano Gringo, cioè straniero. C’è diffidenza, si tratta di una comunità piccola e senza avventori o turisti, in cui la maggior parte degli abitanti parla solo quechua, chiamato anche “Runa simi”, la lingua madre più utilizzata in Sud America. Con il tempo, però, quel giovane “gringo”, così diverso da loro, impara a farsi voler bene, e si ritrova circondato da amici con cui parlare con i gesti e intendersi con i fatti. Per mantenersi vende pizza nel mercato locale, lui che pur essendo italiano non ha mai fatto una pizza in vita sua: “Ogni mercoledì ne facevo circa una dozzina a casa, ma ovviamente le prime non erano buone…”, ricorda ridendo. “Non avevo mai fatto una pizza in vita mia prima di arrivare in Perù, però arrivato a Pampa Cangallo ho pensato fosse un buon modo per presentarmi e mantenermi. Loro non sapevano nemmeno cosa fosse, quindi inizialmente non vendevo quasi nulla, rimanevano tutte sul mio banco da scuola montato accanto agli altri venditori”. Alessandro ancora sorride, ripensandoci: “Per avviare questa attività avevo iniziato a regalarle, solo così hanno scoperto che non erano poi così male…”.

Dopo le prime esperienze da volontario – oltre al periodo in Perù, due mesi in Tanzania e tre mesi in Spagna – nasce il suo amore per i viaggi in bici. L’ultima impresa su due ruote è tra Azerbaijan, Georgia e Turchia, la prossima, invece, lo vedrà tornare in quel Perù dove tutto ha avuto inizio. Partendo da Almaty, in Kazakistan, Alessandro a maggio scorso ha ripercorso la storica Via della Seta attraverso Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Azerbaigian, Georgia, Turchia e Balcani. Prima di raggiungere l’Azerbaigian, ha navigato nel Mar Caspio. Poi, in Tagikistan, ha pedalato lungo la strada del Pamir, raggiungendo i 4500 metri di altitudine.

“Temevano per la mia sicurezza, invece mi sono trovato benissimo, sono popoli estremamente accoglienti. Persone che hanno veramente poco ma hanno un cuore immenso”, racconta. “Non ho mai legato la mia bicicletta. Anche perché nella catena è entrata la terra, quindi non si apriva… e non ho avuto nessun problema”, ricorda Alessandro. “Solamente tanta ospitalità e tanti sorrisi. Anche perché loro non parlano inglese, io non parlo né russo né le lingue locali e quindi si comunicava con il sorriso”. Ma non è il solo insegnamento che gli riserva l’antica via. Lo rivela con un tono divertito, ma sincero. Con la serietà di chi sa ammettere i propri limiti e dà valore anche alle piccole virtù, come le definirebbe Natalìa Ginzburg: più prosasticamente impara anche a cambiare una camera d’aria senza l’aiuto di nessuno. “Pur amando andare in bici, sono totalmente ignorante dal punto di vista pratico e meccanico. Poi mi sono trovato in mezzo al nulla con la camera d’aria bucata, e giocoforza ho imparato a cavarmela”.

Nel frattempo Alessandro frequenta la magistrale in Sviluppo Globale e Cooperazione Internazionale. Molti dei suoi viaggi sono organizzati proprio dall’Università di Bologna, grazie alle borse di studio Erasmus+, che comprendono una quota finanziata dall’Unione Europea e un contributo erogato dal ministero. È così che studia per sei mesi in Costa Rica, è così che studia per altri sei mesi in India. Ed è ciò che consiglia anche ai giovani universitari: “Il mio consiglio è di buttarsi. Lo so che non è facile. Io sono stato facilitato dal fatto che mi trovavo talmente male dov’ero, da non avere fondamentalmente alternative, ma ci sono tantissimi progetti di volontariato ovunque, non solo in America Latina, anche in Europa, quindi vicino a casa nostra”, spiega.

Ma Alessandro non si limita a questo, e negli anni di viaggio lavora e si reinventa. Non solo pizzaiolo casalingo sulle Ande, ma anche insegnante di italiano in Costa Rica, maestro di inglese in Tanzania, raccoglitore di cipolle in Toscana. Di quest’ultima esperienza, in particolare, porta con sé il ricordo dei colleghi, ragazzi del Gambia con una storia migratoria complessa alle spalle: “Ho passato un mese in Toscana a raccogliere cipolle insieme a due ragazzi del Gambia. È stata un’esperienza estremamente formativa, soprattutto perché ho potuto ascoltare le loro storie. Nonostante il lavoro fosse durissimo – lavoravamo 10 ore al giorno con una piccola pausa pranzo di mezz’ora – ogni mattina mi svegliavo alle cinque con il sorriso perché sapevo che li avrei incontrati”.

Quando si viaggia da soli, i momenti di sconforto e di dubbio sono inevitabili. Non solo: sono il segno, secondo Alessandro, che ciò che si sta facendo è utile. Che i passi che si stanno compiendo sono significativi. Tra i momenti di difficoltà, il ricordo delle rivolte in Cile. Durante il primo viaggio Alessandro lavora come manutentore in un parco di riciclaggio nel nord del Paese, ad Antofagasta. È l’autunno del 2019, il periodo delle cosiddette “Estallido social”, una serie di manifestazioni sfociate in scontri contro l’aumento dei costi e la corruzione. Il 18 ottobre l’allora presidente del Cile Sebastián Piñera annuncia lo stato di emergenza, inizialmente riguardante la sola capitale, e poi esteso ad altre città, tra cui Antofagasta stessa. Durante una notte i protestanti bloccano la Panamericana (un sistema integrato di strade che si sviluppa prevalentemente lungo la costa pacifica dei continenti centro e sudamericano, ndr), incendiano il centro della città e Alessandro e un altro volontario rimangono bloccati nel parco di riciclaggio per tre giorni. Non sa cosa fare, la sensazione è di impotenza: la preoccupazione non è per le proteste, racconta, ma per i suoi genitori, con i quali non riesce a mettersi in contatto. Ma c’è anche la sensazione, netta, di essere nel mondo e nella storia. E di non poter tornare indietro uguali a prima.

Quando tutto ha avuto inizio, con il primo passo da diecimila chilometri, Alessandro non sapeva cosa sarebbe diventato “da grande”. Una domanda con cui spesso ci si riempie la bocca, dando per scontato che il percorso di tutti sia lineare e che il lavoro sia la meta designata. Sono passati otto anni, e il “Gringo” ancora non sa cosa sarà “da grande”. Del resto, come da monologo finale di The Big Kahuna, “le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno”. Forse Alessandro sarà un quarantenne che non sa cosa fare. O forse, sarà un quarantenne che avrà sempre un’avventura da raccontare ai propri amici. Nel dubbio, però, ora continua a pedalare. Leggero, eliminando il superfluo.

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