L’attesa della pubblicazione della relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) è per tutti noi studiosi, analisti, appassionati e addetti ai lavori quasi un rituale. La relazione rappresenta un’irrinunciabile fonte di informazioni, analisi e contenuti. La si attende e, poi, la si legge e studia con attenzione. La si contesta anche. Alcuni la vorrebbero redatta più celermente. Altri la desidererebbero più breve e schematica. Altri ancora auspicano che contenga una maggiore analisi dei cambiamenti dei fenomeni criminali nel tempo, letti anche da un punto di vista statistico.
Tante le considerazioni che andrebbero fatte sull’ultima appena pubblicata, quella relativa al primo semestre del 2023.
Vogliamo partire da quella che per noi è una novità particolarmente significativa e che riguarda un passaggio evolutivo che ci sentiamo di definire di tipo culturale.
Nell’ultima relazione si parla di “matrici mafiose” e non più di criminalità organizzata calabrese, pugliese, siciliana, stiddara o campana. Una piccola grande rivoluzione lessicale, che sottende un pensiero criminologico e sociologico differente rispetto a quello utilizzato negli anni scorsi.
Quando si entra nello specifico delle singole organizzazioni, infatti, non le si radica immediatamente nel territorio di origine. Nel capitolo delle matrici mafiose, successivo alle considerazioni generali, si parla di “Analisi del fenomeno criminale della ‘ndrangheta”, senza contestualizzarlo unicamente in Calabria. Lo si affronta organicamente così come si manifesta nell’intero territorio nazionale.
Prima di ora, utilizzando, secondo noi, un’accezione infelice e comunque oramai sorpassata dalla realtà dei fatti, c’era il tradizionale capitolo dedicato alla criminalità organizzata siciliana o campana. Non veniva citata Cosa Nostra o la Camorra nel titolo del paragrafo, ma la regione di tradizionale, e originario, radicamento dell’organizzazione criminale.
Ora si esce dalla logica etnica. Si entra in una visione di insieme, deterritorializzata. Si segue l’evoluzione delle organizzazioni criminali. Si osserva e si studia il fenomeno mafioso come un’espressione di carattere nazionale.
La ‘ndrangheta, la più radicata e gerarchica tra le organizzazioni criminali, viene riconosciuta come un network criminale capace di agire con grande disinvoltura nei contesti più diversificati, con un’accentuata vocazione verso i comparti economici, finanziari ed imprenditoriali. Capace di esprimere anche uno sviluppo transnazionale. Non esisterebbe la ‘ndrangheta calabrese, però, se non ci fosse la Lombardia (la struttura organica della ‘ndrangheta lombarda) con i suoi 24 locali. In questo senso assume un notevole significato evocativo il ritorno nella relazione della cartina dei locali di ‘ndrangheta in Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto.
Tra le matrici criminali si trova la seconda novità che vogliamo qui sottolineare: assurgono a matrice criminale e quindi a organizzazioni criminali riconosciute, quelle consorterie locali che oramai emulano il modus operandi delle associazioni mafiose tradizionali e con loro si relazionano. Viene citato il clan dei Casamonica, Spada e Di Silvio, a cui è dedicato un paragrafo di ben 10 pagine. Un paragrafo che sta sullo stesso piano del paragrafo destinato alla ‘ndrangheta, Camorra o Cosa Nostra.
Un’analisi approfondita che riporta alla memoria 16 inchieste, da Nuova alba, del luglio 2013, a Gramigna 1 e 2, fino all’inchiesta Reset del 2020.
La Corte di cassazione con sentenza n. 1785 del 2019 ha stabilito la nascita della nuova organizzazione mafiosa radicata nel territorio laziale con cui le tradizionali consorterie preferiscono interagire piuttosto che contrapporsi, seguendo “una logica di equilibrio e di spartizione degli interessi, alla ricerca di proficue relazioni di scambio e di collusione che consentono alle organizzazioni criminali più strutturate di infiltrarsi in modo silente, soprattutto nel tessuto economico-finanziario”.
Sulla scia di questa nuova impostazione, che condividiamo, sulle mafie italiane, potrebbe essere utile passare anche allo “spacchettamento” del capitolo sulle mafie straniere. Inserendo altre due matrici: quella mafiosa Shqiptare-albanese e i Cult nigeriani. La prima, in grande ascesa alcuni anni fa, che ora consolida le sue relazioni soprattutto al Nord, in Lombardia e a Roma. La seconda, a cui la Dia dedicò un approfondimento nella relazione del secondo semestre 2018, e che ora sembra sottotraccia.
Se è vero che, come in tutti i campi, le analisi sociologiche e culturali anticipano interpretazioni giurisprudenziali o modifiche legislative, immaginiamo e auspichiamo che nel prossimo futuro qualcosa di interessante si muoverà anche nel campo del contrasto al fenomeno mafioso.