Diritti

Ferragosto a Ostia, cronaca di un linciaggio sfiorato: il branco contro lo straniero

È il 15 agosto. Ostia, litorale romano, stabilimento Bettina. Improvvisamente un gruppo di uomini, donne e bambini crea un capannello. Sono a nemmeno 20 metri da loro. Percepisco concitazione, vedo il gruppo stringersi e diventare più grande. Sempre più uomini, abbronzati, tatuati, muscolosi, con improbabili occhialetti da ciclisti, vanno ad accrescere la folla. Nel giro di qualche minuto il capannello è diventato un chiosco di gente, anzi due. Donne che gridano, bambini che saltellano e, al centro, lui. Un uomo, proveniente dal Bangladesh è in ginocchio sulla sabbia, con il volto percosso, accerchiato da gente inferocita. Dai segmenti di conversazione che capto, lo accusano di aver fotografato una ragazzina. Lui però è ubriaco e soprattutto non parla italiano. Impossibile capire se e cosa abbia fotografato perché chi si è avventato contro di lui con un pugno al volto, gli ha anche spaccato il cellulare. Non può alzarsi, la folla lo sovrasta e lo accerchia.

Mentre cerco di capire se qualcuno ha chiamato la polizia per evitare quello che a tutti gli effetti sembra un linciaggio, un altro gruppo di energumeni arriva con altri tre presunti “complici” pescati in un altro punto della spiaggia. Anche loro sono sono del Bangladesh, non si sa quale relazione ci sia con l’altro ragazzo. Li fanno sedere a terra, uno che mi dice di essere un poliziotto, ma che pare semplicemente un bagnante più violento degli altri, procede a una specie di perquisizione non solo degli zaini dei tre ragazzi, ma anche corporale: fa alzare le magliette e comunica il termine delle operazioni con schiaffetti sul collo come fosse il preside di una scuola degli anni ‘30 o il protagonista di un brutto poliziesco. Nel frattempo provo a chiamare il 113, ma rimango in attesa, rimpallata da un messaggio automatico all’altro finché rinuncio, anche perché, nel frattempo, sono arrivati i carabinieri. Sono tutti giovanissimi, chissà come sono contenti di lavorare il 15 di agosto.

Vedo che i bagnanti più inferociti, da quello del cazzotto alle madri più avvelenate, hanno già battuto la ritirata. I tre presunti poliziotti in costume sono defilati. Solo i bambini, con le mani sui fianchi, tutti eccitati, dicono ai militari che poco più in là ci sono “gli altri pedofili”. Lo sciame si scompone, persino la madre della presunta vittima è scomparsa. I tre ragazzi sono in piedi, l’accusato numero uno è incredulo, in piedi pure lui, coperto di sabbia, con l’occhio gonfio. Di tutti gli urlatori e le urlatrici che fino al momento prima erano pronti alla forca, non c’è più traccia. Il branco ha perso l’osso. Così finisce che l’unico a cui i carabinieri chiedono l’identità e il permesso di soggiorno è un ragazzo di colore che lavora ai bagni, Ani, uno dei pochi che ha cercato di evitare il linciaggio. “Eh, vorrei vedere lei se era sua figlia”, è la frase in italiano stentato che alcune madri (e uno dei sedicenti poliziotti) mi rivolgono per essermi messa in mezzo. I militari portano via i quattro ragazzi.

Qualcuno a tavola avrà poi raccontato di aver sgominato una banda di pedofili a Ostia. Ad altri – vorrei credere la maggioranza, ma temo non sia così – rimarrà la sensazione di aver assistito a quel microcosmo di ignoranza, cattiveria, razzismo che in altri contesti porta in vetta il libraccio di Vannacci (e lui medesimo al Parlamento europeo come secondo più votato dopo Giorgia Meloni con 530mila preferenze) o che fa venire in mente a qualcuno che un murales di Paola Egonu vada coperto di rosa perché “non rappresenta l’italianità”. È il Paese della giustizia fai da te, della violenza e della sopraffazione, della legge del più forte che pensa di avere più diritti solo perché ha la pelle bianca e i documenti nei pantaloni.

Aggiornato dall’autrice il 20 agosto, ore 11

Sempre il 15 agosto, a Ostia, in due punti differenti del lungo litorale, sono avvenuti due arresti che hanno portato ad altrettante condanne per direttissima a 3 anni e 4 mesi per molestie sessuali ai danni di alcune ragazzine. Gli arrestati, un egiziano assistito dall’avvocato Sabrina Metta e un bangladese assistito dall’avvocato Cristiano Maria Pacifici, sono stati portati di fronte al sostituto procuratore Giorgio Orano, scalzi. Un episodio è avvenuto nei pressi del Bahia beach, a 8,5 km da dove mi trovavo io, l’altro al secondo cancello della spiaggia libera, a circa 5 km dal mio punto di osservazione. Entrambi gli uomini hanno rischiato il linciaggio.

Alcuni articoli di cronaca hanno riportato la notizia, anche se ognuno raccontava i fatti in modo diverso (egiziani o Bangladesh? Il 15 agosto o la vigilia?), insomma non proprio un grande esempio di precisione giornalistica. Tuttavia, i carabinieri mi hanno confermato che quanto ho visto non ha nulla a che fare con i due arresti: il ragazzo, classe 1999, è stato trasportato all’ospedale con una ferita al volto. Nessuna denuncia: lui non conosceva i nomi degli aggressori e gli aggressori – accusatori erano svaniti nel nulla alla vista dei militari.

Certamente le molestie contro ragazzine sono tra le azioni più odiose possibili, ma non viviamo forse in una società del diritto dove la legge ha sostituito la clava?