Con 110 voti a favore, otto contrari (tra cui Stati Uniti e Regno Unito) e 44 astensioni (Italia tra queste) le Nazioni Unite hanno approvato venerdì sera il primo step della convenzione quadro sulla tassazione globale auspicata dai Paesi del Sud del mondo nella risoluzione approvata lo scorso novembre (in quel caso con il no di Ue e Stati Uniti). Il voto arriva a valle di tre settimane di negoziati seguite a una prima sessione che si era svolta tra fine aprile e inizio maggio. Il testo finale dei terms of reference, in pratica i principi e paletti che la convenzione quadro dovrà rispettare, prevede che a produrre il documento sia un nuovo comitato guidato da uno Stato membro che dovrebbe riunirsi per almeno tre sessioni all’anno nei prossimi tre anni. La convenzione dovrebbe puntare a una cooperazione fiscale internazionale pienamente inclusiva e delineare un sistema “inclusivo, giusto, trasparente, efficiente, equo ed efficace per lo sviluppo sostenibile”. A latere verrebbero scritti anche anche due protocolli: il primo sulla tassazione dei redditi derivanti dall’offerta di servizi sovranazionali, il secondo su un altro argomento da scegliere in corso d’opera tra tassazione dell’economia digitale, misure contro i flussi finanziari illeciti, prevenzione e risoluzione delle dispute fiscali, riduzione dell’evasione ed elusione da parte dei super ricchi e misure per assicurare la loro efficace tassazione in “rilevanti Stati membri” come auspicato dalla presidenza brasiliana del G20.
Secondo ong e organizzazioni della società civile che si battono per la giustizia e cooperazione fiscale, una governance negoziata a livello Onu è la strada più promettente per evitare che le economie mondiali perdano nel prossimo decennio quasi 5mila miliardi di dollari di gettito a causa dei paradisi fiscali e per far sì che anche i Paesi poveri e in via di sviluppo abbiano voce in capitolo. A differenza di quanto avvenuto durante le discussioni in sede Ocse, il club degli Stati più sviluppati, sui due pilastri della riforma sulla tassazione minima delle multinazionali, il secondo dei quali – imposta minima del 15% – ne è uscito molto depotenziato e il primo – il diritto per gli Stati in cui i grandissimi gruppi generano entrate di tassarne almeno una parte – è lettera morta causa mancata ratifica da parte degli Usa.
La convenzione Onu, secondo Tax Justice network, è una delle sei soluzioni chiave in grado di “riprogrammare i sistemi fiscali per dare priorità all’uguaglianza”. Andrebbe accompagnata dallo scambio automatico di informazioni tra Paesi su tutti i patrimoni detenuti dai contribuenti, da un registro completo e verificato dei titolari effettivi di società, trust e fondazioni, da report pubblici sulle tasse pagate dalle multinazionali nei vari Paesi, da una tassazione legata alla sede effettiva delle attività aziendali e da un aumento delle risorse messe a disposizione delle autorità fiscali nazionali.