Il vaiolo delle scimmie (così chiamato anche se sono i roditori i vettori), per il quale l’Oms ha dichiarato nei giorni scorsi l’emergenza internazionale, è un poxvirus (monkeypox virus, MPXV) simile allo scomparso virus del vaiolo umano, che infetta appunto le scimmie. Il primo caso di trasmissione umana è stato segnalato nel 1970 ed esiste un vaccino che protegge dall’infezione. Solo nel mese di giugno sono stati 567 i contagi nel continente africano con una pericolosa crescita di casi fra i bambini, anche neonati.
I sintomi – Il numero di casi segnalati finora quest’anno ha già superato il totale dell’anno scorso, con oltre 14mila casi e 524 decessi. I sintomi, riferiscono i siti istituzionali sanitari, includono febbre, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena e dolore ai linfonodi, seguiti successivamente dalla comparsa di pustole cutanee sul volto e in seguito generalizzate. La malattia è conosciuta come vaiolo delle scimmie ma è scientificamente definita mpox, anche per evitare lo stigma di questa definizione.
I casi attualmente descritti in Italia non sono stati gravi ma hanno necessitato di monitoraggio clinico. Negli ultimi 2 mesi in Italia, emerge dall’ultimo bollettino del ministero della Salute, si sono verificati 9 nuovi casi: 2 in Friuli Venezia Giulia, 1 in Lombardia e 6 in Veneto. A partire da maggio 2022, quando in Italia è stato riscontrato il primo caso di infezione, nel nostro Paese sono stati confermati 1.056 contagi, 262 dei quali collegati a viaggi all’estero. Quasi la metà dei casi (441) sono stati registrati in Lombardia. Seguono il Lazio (169) e l’Emilia Romagna (97). La Svezia ha segnalato la positività di una persona per il clade 1, più pericoloso. Si tratta del primo caso in Europa.
Come avvenuto nel resto del mondo, la grande maggioranza dei contagi (1.040) ha riguardato persone di sesso maschile. È 37 anni l’età mediana con un range che va dai 14 ai 71 anni. La trasmissione avviene per contatto diretto con fluidi corporei, come sangue, goccioline respiratorie, saliva, secrezioni genitali, essudato di lesioni cutanee e crosta. La diffusione maggiore sembra avvenire in caso di rapporti sessuali tra maschi.
I rischi per la salute – La diagnosi di vaiolo delle scimmie umano è prevalentemente clinica, in base alla valutazione dei sintomi. La diagnosi va confermata da altri esami, come il rilevamento del DNA virale specifico mediante la Proteina C reattiva (PCR). Il quadro clinico dell’MPXV umano – dopo un periodo di incubazione da 7 a 17 giorni – inizia con febbre, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena e linfoadenopatia, seguiti successivamente da eruzioni cutanee ben circoscritte ma diffuse su tutto il corpo, con un tipico esordio centrifugo, che evolvono in fasi successive: maculare, papulare, vescicolare e pustolosa. Un secondo periodo febbrile si verifica quando le lesioni diventano pustolose ed è spesso associato a un peggioramento delle condizioni del paziente. La vaccinazione contro il vaiolo umano offre una qualche forma di protezione, con complicanze più frequenti tra i non vaccinati (74%) rispetto ai vaccinati (39,5%). Tra le rare complicanze sono riportate: broncopolmonite, shock secondario a diarrea e vomito, cicatrici corneali che possono portare a cecità permanente, encefalite specialmente nei pazienti con infezione batterica secondaria e setticemia, con la formazione di cicatrici sulla pelle come sequela a lungo termine.
Il vaccino – Per il vaiolo delle scimmie esiste da tempo un vaccino, tanto che nel 2022 quando ci fu un’impennata di casi molti stati europei avviarono campagne vaccinali. Al momento circa 500 mila dosi di vaccino sono già nella disponibilità dei produttori e altre 2,4 milioni potrebbero essere prodotte per la fine dell’anno come ha riferito Tim Nguyen, a capo della Unit High Impact Events Preparedness dell’Oms nel corso della conferenza stampa in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria internazionale. La stima si riferisce al vaccino MVA-BN, prodotto da Bavarian Nordic. “Nel 2025 – ha aggiunto Nguyen – potrebbero essere prodotte altre 10 milioni di dosi”. A queste si potrebbero aggiungere le dosi che “diversi Paesi hanno già accantonato e che potrebbero donare se altri Paesi ne avessero bisogno”. Per il vaccino LC-16, che “non p commercializzato ma al momento è prodotto per conto del governo del Giappone”, ha precisato Nguyen, nella precedente epidemia “il Giappone è stato molto generoso e ha donato i vaccini a Paesi” che ne avevamo bisogno. “Siamo al lavoro per facilitare la donazione delle riserve di LC-16”.