Ne parla al FattoQuotidiano.it il professor Roberto Cauda
Sembra che dobbiamo ormai rassegnarci a convivere con loro, i virus e i batteri. Anche se la parola “rassegnazione” potrebbe non essere quella più pertinente. Ma partiamo dall’inizio. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiornato l’elenco degli agenti patogeni a più alto rischio che potrebbero provocare in futuro una nuova pandemia. Si tratta di 32 virus e batteri. Si va dalla dengue al vaiolo delle scimmie. E per non farsi mancare nulla, ai virus più noti se ne aggiunge un patogeno X, un agente oggi ignoto, che, come avvenuto nel 2019 con il virus SarsCoV2, potrebbe emergere e diffondersi in tutto il mondo. “La storia ci insegna che la prossima pandemia è una questione di quando e non di se. Ci insegna anche l’importanza della scienza e della determinazione politica nel mitigarne l’impatto”, ha affermato in una nota il Direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus.
Qual è l’obiettivo
Il documento (‘Pathogens prioritization: a scientific framework for epidemic and pandemic research preparedness‘) è stato realizzato da un comitato di circa 200 scienziati nominati dall’Oms, che ha passato in rassegna oltre 1.600 patogeni per identificare le minacce più concrete. L’obiettivo è indicare i campi nei quali è prioritario rafforzare la ricerca e sviluppare contromisure che consentano di intervenire tempestivamente qualora una futura pandemia si presentasse. Rispetto alla precedente versione, che comprendeva solo 9 patogeni, l’elenco si allunga molto, sia a causa della maggiore consapevolezza maturata con la pandemia da Covid-19, sia per l’emergere di fenomeni nuovi – come i cambiamenti climatici – che potrebbero modificare il comportamento di diversi virus.
Nuovi virus e batteri
Nella nuova lista compaiono patogeni come il vibrione del colera o la salmonella, batteri con alte percentuali di resistenza agli antibiotici come la Klebsiella pneumoniae. Ci sono anche malattie trasmesse da vettori come dengue e chikungunya, ma pure l’Mpox. Ricompare anche il vaiolo: “Con il declino dell’immunità, ha il potenziale di causare una pandemia, se rilasciato”, si legge nelle note del documento. Naturalmente, tra gli osservati speciali, ci sono numerosi virus influenzali, aviari ma non solo. A queste si aggiungono le minacce contenute nelle precedenti versioni del documento: da ebola al virus Zika fino ai virus appartenenti alla famiglia di SarsCoV2.
Il parere dell’esperto
“La parola d’ordine che oggi echeggia nelle istituzioni internazionali è preparedness, ossia non farsi cogliere impreparati di fronte a una nuova pandemia”, spiega al FattoQuotidiano.it Roberto Cauda, Professore di Malattie infettive dell’Università Cattolica e dell’università Campus bio-medico.
Professor Cauda, dobbiamo quindi aspettarci altre situazioni gravi?
“Voglio partire da un’altra considerazione. Un noto epidemiologo del passato diceva riferendosi alle pandemie influenzali, che esse sono come bombe a orologeria che prima o poi scoppiano, ma che nessuno sa quando questo avverrà. Ed è stato così anche per il Covid-19. Riassumendo la situazione attuale. Sappiamo ormai che ci sono alcuni elementi che possono favorire le pandemie. Uno è rappresentato dal contatto con nuovi germi o vecchi germi, soprattutto di natura influenzale, ma non solo, che vengono dal mondo animale. In altre parole, la riduzione dell’habitat degli animali selvatici può portare a uno spillover, a un salto di specie dall’animale all’uomo. Un secondo elemento è il fenomeno della globalizzazione. Virus e agenti patogeni che sono presenti in aree remote, grazie alla velocità e rapidità degli spostamenti delle persone, possono raggiungere praticamente tutto il mondo. Il terzo fattore da considerare è più di natura filosofica, rappresenta la capacità di riconoscere nuovi tipi di malattie. E su questo possiamo nutrire molte speranze”.
Un sorvegliato speciale
In cosa possiamo fondare la nostra fiducia?
“Fin dal 1998, quando c’è stata un’epidemia di H5N1, un virus particolarmente letale che colpisce gli uccelli – chiamato appunto virus aviario – in tutto il mondo le organizzazioni sanitarie hanno mostrato una grande attenzione nei confronti di questo virus monitorando la situazione. Al momento non ci sono rischi per l’uomo anche se c’è stata un’evoluzione del virus che dagli uccelli si è adattato ai bovini. In ogni caso, tra i vari candidati possibili di pandemia, la H5N1 rappresenta un sorvegliato speciale. Questo permette di non essere totalmente impreparati qualora ci fosse l’esplosione di una pandemia da H5N1 perché è un virus di cui si conosce molto per non dire tutto”.
Quali sono le caratteristiche salienti di un virus che ci possono interessare?
“Un virus influenzale, secondo una legge biologica ormai consolidata e che abbiamo visto anche con il Covid-19, è letale quanto più è grave la malattia. A questa elevata pericolosità – ed ecco una buona notizia – corrisponde però minore trasmissibilità”.
Il vantaggio dei piani pandemici
Le strategie migliori per non farsi trovare impreparati?
“Occorre quindi aumentare sempre più la sorveglianza epidemiologica, cioè cercare di capire cosa e monitorare quello che accade con i principali virus e batteri in circolazione. Sempre restando nell’esempio dell’H5N1, controllare i possibili focolai di diffusione. Cercare di controllare gli animali colpiti per evitare diffusione del virtus tra gli animali e ancora di più avere dei piani pandemici. Come abbiamo capito dall’ultima pandemia del Covid, avere piani pandemici dettagliati significa incrementare la possibilità di affrontare al meglio situazioni di emergenza. Sottolineo anche che i piani pandemici riguardano non una specifica malattia, ma patologie che si possono diffondere rapidamente nell’ambito della popolazione e quindi si rivolgono soprattutto a malattie diffusibili per via respiratoria. Infine, occorre continuare a sostenere la ricerca scientifica perché abbiamo visto che grazie a essa si identificano più rapidamente i focolai delle infezioni, grazie ai tamponi, e contribuisce alla messa a punto dei vaccini”.