Non ha mai nemmeno pensato di fare l’attore, almeno fino ai 18 anni, ma è nato con il cinema dentro. Carlo Verdone, 73 anni dopo, è conosciuto in tutta Italia, da Nord a Sud, ed ha praticamente rivoluzionato il grande schermo italiano. Dalle risate alle lacrime, dall’ironia alle riflessioni filosofiche: una rappresentazione a tutto tondo dell’italianità e della vita, in generale.
“Rifletto molto sul tempo – premette il regista e attore nella sua intervista al Corriere della Sera – detesto vivere alla giornata. Ma a differenza di una volta, quando facevo grandi progetti per il futuro e avevo una visione delle cose a cui avrei dovuto dedicarmi, non mi faccio grandi illusioni. A quest’età cerco di rendere la giornata la più piena possibile e soprattutto sono diventato una persona che ama riservarne una parte ai ricordi del passato”.
E sono proprio quei ricordi che, con gli anni, si accumulano e si trasformano presto in un altro sentimento, la nostalgia, nei confronti di un tempo che è passato e che non tornerà più. “Sono stato molto fortunato: ho vissuto un periodo magnifico. Ricordo abbastanza bene l’ultimo scorcio degli anni Cinquanta e tutti i Sessanta, che sono stati fondamentali. Li ripenso con grande nostalgia. Erano tempi migliori in tutto. Sono vissuto in una casa dove c’era un gran bel salotto intellettuale. Ho conosciuto gente importante ma sempre sorridente, nei magnifici dopocena rilassati dei miei genitori con i loro tanti amici: oltre a Fellini grandi musicisti come Silvano Bussotti o Leonard Bernstein. È passato di tutto da quella casa. Era un bel vivere. Oggi quelle tradizioni non ci sono più ma non c’è più neanche la disponibilità a vivere così. La vita è talmente cambiata”.
E con lo stesso fare nostalgico, Verdone ripercorre anche la malattia della madre: “Sono stati 4 anni veramente brutti che non auguro a nessuno, quelli della malattia di mia madre. Era la persona più buona del mondo, alla quale forse dovevo più di tutti nella vita. Se ne è andata via troppo giovane, 59 anni aveva. L’ho ritenuta un’ingiustizia e ho perso anche la fede in quel periodo. Era un angelo mia madre e si ammalò d’una brutta malattia neurologica, molto rara. Mi chiedevo perché proprio a lei, l’ultima persona al mondo che meritava quella tortura”.
Ma se si parla di lui, invece, prende tutto con un po’ più di leggerezza. Anche se si parla del suo corpo, che sta subendo il peso degli anni: “Beh, è la terza estate che vado sul letto chirurgico, non so se mi spiego… Tredici giorni fa mi hanno levato la tiroide, l’estate scorsa ho avuto un altro problema ma per fortuna l’esame istologico è andato bene, quella prima ci sono state le anche. Consideravo il mio corpo come una casa solida, una fortezza. Invece ora ho capito che è un alberghetto, anzi una pensione, una locanda che dura due/tre giorni. Non sento alcun tipo di angoscia e non mi sento ancora vecchio.”
E delle rughe “non me ne frega niente. E poi sono fortunato: non ho molte rughe io. Forse è anche per il fatto che non posso prendere sole. Se non lo prendi la tua pelle rimane sempre elastica. Un po’ come quella del sedere, anche quella non c’ha rughe: perché sta sempre al buio”. Della morte? Nessuna paura, anche perché “Siamo nati col certificato di morte in mano. Bisogna ragionarci con filosofia. L’unica speranza è non dover soffrire troppo andandosene. Aver paura della morte se si riflette bene è un po’ una stronzata perché come diceva Epicuro quando c’è lei tu non ci sei e viceversa. La cosa brutta è vederla arrivare, la morte”.
L’unica paura? È legata alla riflessione iniziale, proprio quella relativa i ricordi: “Cosa temo? Quando si comincia a perdere la memoria: il cervello non funziona più come prima, non vengono più le parole, non riesci a riconoscere qualcosa o ti dimentichi di cose importanti. Terrificante. Quello è brutto, quello significa veder arrivare la morte”.