Un sistema selvaggio per l’erogazione dell’acqua nonostante l’emergenza. È anche per questo motivo se la Sicilia non riesce a sconfiggere la siccità. Quasi ogni comune dell’isola, infatti, gestisce la distribuzione idrica in solitaria, senza una regia complessiva. Da mesi la Protezione civile regionale prova a mettere ordine in questo caos e ora striglia i comuni: devono muoversi di concerto e mettersi alla ricerca di nuove fonti. “Le risorse idriche ci sono”, sostengono. È il caso di Trapani, dove l’emergenza è stata risolta in extremis tornando ad approvvigionarsi dai vecchi pozzi della città. Un escamotage che finora non è stato possibile replicare quasi da nessun’altra part dell’isola. In quasi tutta la Sicilia, infatti, per molti al momento l’unica soluzione sono le autobotti, che trasportano acqua e agiscono in regime di libero mercato. L’effetto è che in queste settimane di emergenza i prezzi sono fortemente aumentati: un macigno per agricoltori e albergatori, costretti a fronteggiare ogni anno una nuova crisi.

Il prezzo dell’acqua – L’origine del problema è rappresentato dalla mancata regolamentazione del settore. Con l’inizio della crisi, infatti, i prefetti hanno imposto ai trasportatori di certificare l’origine dell’acqua trasportata. Ma nessuno è intervenuto a regolamentare il costo. Risultato? “Le tariffe per avere un camion di acqua in alcuni casi sono anche raddoppiate”, risponde Graziano Scardino, presidente della Confederazione italiana agricoltori in Sicilia, che spiega come la crisi idrica abbia reso il trasporto dell’acqua un affare d’oro. “Una speculazione vera e propria – racconta – le autobotti private si approvvigionano di acqua pubblica, i costi variabili sono quelli del trasporto e quindi del carburante, che rispetto all’anno scorso non è certo raddoppiato anzi direi che è quasi più economico”. Invece il costo di un carico d’acqua è praticamente raddoppiato. “È un peso troppo gravoso per noi agricoltori. C’è bisogno di acqua per mantenere in vita l’azienda, ma anche per dare da bere agli animali. Parliamo di greggi di bovini che possono arrivare a consumare 3 mila litri di acqua al giorno. Nessuno si sogna di non riconoscere il lavoro svolto dalle autobotti, ma chiediamo di frenare questa speculazione”. Simile il racconto degli albergatori: “Quello per l’acqua è diventato un nuovo costo improvviso. Il prezzo è quasi raddoppiato: l’anno scorso un carico di acqua costava 100 euro, quest’anno 180 per 10mila litri”, racconta Vittorio Messina, presidente di Assoturismo. Che poi aggiunge: “Ogni anno c’è un’emergenza da affrontare: l’anno scorso erano gli incendi, quest’anno la siccità, senza dimenticare il rogo divampato all’aeroporto di Catania che ci ha fatto perdere gli arrivi dall’area extra Shengen. Tutti danni di immagine gravissimi. Il turismo ha bisogno di un’attenta pianificazione che guarda con largo anticipo al futuro: in Sicilia, invece, navighiamo sempre a vista, non si può andare avanti così”.

La guerra della sete – E se il boom del costo delle autobotti colpisce duramente il settore agricolo e turistico, ancora peggiore è la situazione che si crea tra la cittadinanza. “Il timore è che permangano concrete limitazioni al libero e pieno accesso alla risorsa idrica che sembrano essere in grado, peraltro, di alimentare un mercato sommerso oggetto di scarsa regolamentazione e penalizzare le fasce più deboli della popolazione”, scrivono in una nota congiunta i deputati regionali Angelo Cambiano del M5s e Michele Catanzaro del Pd. Insomma, quella che si sta scatenando in Sicilia è una guerra tra poveri, o meglio, tra assetati. Per questo, il 14 agosto, sindaci, cabine di regia e Protezione civile sono stati convocati dal prefetto di Agrigento, la provincia che più di ogni altra sta soffrendo l’emergenza. Prima regola, seguire il modello Trapani. “L’acqua c’è, dove sia non può saperlo un ufficio, lo sanno i territori: lo sapete voti”, ha detto Salvo Cocina, direttore generale della Protezione civile regionale, rivolgendosi alle autorità locali. Il modello, secondo Cocina, è infatti quello di Trapani. Nella città più occidentale dell’isola l’emergenza è stata risolta con un semplice intervento: i pozzi già esistenti, quelli che una volta approvvigionavano la città, sono stati riallacciati alla rete idrica. “Non sappiamo quanto durerà la soluzione dei pozzi, al momento serve per tamponare l’emergenza ma il piano B devono essere i dissalatori: solo quelli possono scongiurare definitivamente la crisi”, dice il sindaco Giacomo Tranchida. A indicare la rotta, però, non c’è solo Trapani. Da segnalare anche quello che è successo a Naso, piccolo centro sui Nebrodi, in provincia di Messina. Lì il sindaco Gaetano Nanì ha fatto trivellare un pozzo, scovando una fonte da 300 litri al minuto: “Ci siamo messi in sicurezza almeno fino alla fine del mese. Dobbiamo capire se fare ulteriori interventi, perché abbiamo diversi punti dove potremmo prelevare risorse idriche. Ma è inutile trovare nuove risorse se poi il 50 per cento viene perso nel trasporto: il problema sono le condutture vetuste”.

Il caso dell’autobotte del direttore – Secondo gli esperti, l’acqua ci sarebbe anche nel sottosuolo della provincia di Agrigento. È qui, nella provincia della Valle dei Templi che, nei giorni scorsi, gli agricoltori hanno inscenato un sit-in lungo la Statale 115 per chiedere alla Regione Siciliana di avere un milione e mezzo di metri cubi di acqua dalle dighe Castello e Raia di Prizzi. L’assessorato all’Agricoltura ha risposto sottoscrivendo un provvedimento che destina 400 mila mc all’irrigazione dei campi: quasi un quarto di quanto richiesto, ma è già qualcosa. “La verità è che questa è una guerra tra poveri”, confidano dalla Protezione civile. In che senso una guerra tra poveri? Semplice: quell’acqua era destinata a garantire l’erogazione ai comuni della zona almeno fino a gennaio. Se non dovesse piovere nei prossimi mesi, quei centri resteranno a secco. È in questo clima di esasperazione che, sempre ad Agrigento, è scoppiato il caso dell’autobotte dell’Aica, Azienda idrica comuni agrigentini: l’11 agosto ha rifornito il porticciolo privato di San Leone. Piccolo problema: secondo un comunicato di Legambiente, quel porticciolo è gestito da una società “direttamente riconducibile al presidente di Aica”, Settimio Cantone. La notizia, pubblicata dal quotidiano La Sicilia, ha provocato roventi polemiche. Il diretto interessato, sentito da Agrigentonotizie.it, ha minimizzato: “Sulla rete del lungomare è attaccato anche un albergo – ha detto- quindi la pressione dell’acqua non è sufficiente per farla arrivare ai pontili che sono considerate delle strutture turistiche. In questo periodo arrivano barche da tutto il mondo e dobbiamo trattarle per come meritano tutte le strutture turistiche”. La risposta del direttore di Aica, però, non ha placato gli animi in città. Il circolo Rabat di Legambiente è tornato sulla questione, indirizzando a Cantone una serie di domande molto specifiche: “Lei è al corrente che vi sono centinaia di utenti che si trovano da diverse settimane privi delle quantità minime di risorsa idrica? Quale norma, direttiva, circolare, assegna la priorità al pontile galleggiante di San Leone rispetto alle utenze familiari a secco da settimane?”. Contattato da ilfattoquotidiano.it, il direttore di Aica ha preferito non replicare. I deputati regionali di M5s e Pd, Cambiano e Catanzaro, si pongono invece una domanda fondamentale: “In Sicilia serve una raccomandazione per un’autobotte d’acqua?”.

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