A distanza di anni dalla nascita dei suoi due figli, Alison ora si sente in colpa per le decisioni che ha preso
Desiderava avere un figlio più di ogni altra cosa e alla soglia dei 33 anni deve aver pensato che non ci fossero più chance di averli ‘naturalmente’. Così, invece di rivolgersi alle cliniche specializzate, anche a causa dei costi elevatissimi delle procedure, si è rivolta a un uomo che su Facebook millantava la sua straordinaria capacità procreativa.
È questa la storia – da non imitare – di Alison Ready che, per amore della maternità, ha dato alla luce due splendidi bambini grazie alla sua discutibile ricerca online. E ora che Isobel, di 7 anni, e Robert, di 4 anni, sono cresciuti, la donna ha iniziato a porsi dei dubbi circa la correttezza morale di questa pratica. “Ero così entusiasta che il mio sogno di avere figli potesse avverarsi che non ho pensato alle implicazioni”, ha spiegato la donna al Mail Online. Il donatore, Simon Watson, è presto diventato noto grazie alle sue capacità procreative e chiede 50£ per ogni fiala contenente il suo liquido seminale, che lui stesso etichetta come una ‘pozione magica’.
Così, i due figli di Alison potrebbero avere centinaia di fratellastri e sorellastre sparsi per il mondo. Ma non è questo l’unico dubbio che, con il senno di poi, si è posto la donna. Anche perché Watson, pur vantando certificati di buona salute, non è soggetto ai rigidi controlli richiesti ai donatori nelle cliniche di fertilità. Motivo per cui Isobel e Robert potrebbero essere soggetti a malattie ereditarie ignote.
Ciononostante, Alison continua a mostrarsi reticente sul rivelare l’identità del padre biologico ai suoi figli. “Ovviamente è un loro diritto saperlo, ma non voglio dirgli che li ho fatti da Facebook per 50£ – confessa la donna -. Diventare madre era qualcosa di cui avevo bisogno a livello molto basilare e i miei due bambini sono speciali. Ma il modo in cui li ho avuti non è qualcosa che intendo confessare. Mi sento in colpa”.
L’obiettivo, però, non è tanto quello di confessare i suoi peccati, quanto aiutare chi, come lei, sente il disperato bisogno di creare una famiglia ancora prima di trovare il partner adatto. “Spero che la mia storia possa aiutare altre donne a pensarci due volte prima di usare un donatore non autorizzato. Watson dice di voler aiutare le persone a diventare genitori, ma ora penso che possa avere qualcosa a che fare con il potere e l’ego, e con quante volte può diffondere il suo seme. Ora che ho riflettuto sulle potenziali conseguenze per i miei figli, credo che dovrebbe essere fermato. Quello che sta facendo dovrebbe essere contro la legge”.
Ma su questo punto sarebbe facile contraddire Alison. Perché, ad oggi, non esiste alcuna legge che vieta ai donatori di usare Facebook per pubblicizzare il proprio ‘operato’. Nel Regno Unito, infatti, ogni donatore può donare ad un massimo di dieci famiglie. Ma non c’è nulla che impedisca loro di continuare a donare all’estero o tramite i social media, anche se viene superato questo limite.
La regola che limita le donazioni alle cliniche del Regno Unito, infatti, non si applica all’estero e, secondo l’HFEA (Human Fertilisation And Embryology Authority), l’ente che regola le cliniche di fertilità, c’è la possibilità che lo stesso donatore potrebbe aver contribuito alla procreazione di moltissimi neonati.
Per quanto riguarda il pagamento, invece, i donatori britannici non possono ricevere soldi, ma possono chiedere un rimborso spese. E nonostante l’HFEA sconsigli l’uso dei gruppi Facebook, molte donne sono costrette a farlo a causa dei costi molto alti delle cliniche.
Tra queste, c’è anche Alison, che, superati i 30 anni di età, ha espresso il suo desiderio di diventare mamma. Così, un’amica le ha consigliato di cercare su Facebook. Alison non ci ha pensato due volte ed è corsa alla ricerca di un papà ideale: Simon Watson era apparso in un documentario della BBC e il suo tasso di successo è stato ritenuto ‘incoraggiante’ da Alison, che lo ha contattato per fissare un incontro. Quando si è presentato all’appuntamento, Watson ha consegnato alla donna una fiala di sperma e una siringa, con la quale Alison ha proceduto all’inseminazione in un bagno. Il massimo della loro interazione, scrive il Mail Online, “è stato un semplice pagamento in contanti di 50£”.
La prima volta, però, non ha funzionato. Ci sono volute sei settimane affinché il test di gravidanza di Alison risultasse positivo. “Ero elettrizzata – spiega la donna -. Sentivo di aver preso la decisione giusta, nonostante le circostanze”. E la soddisfazione è stata enorme, tanto che la donna è tornata da Watson per fare il bis qualche anno più tardi. Al primo tentativo, Alison è rimasta incinta di Robert.
Dopo qualche mese, però, sono arrivati i sensi di colpa: “Mi sono sentita legata, perché dovevo tenerlo segreto. Altrimenti, sarei diventata la mamma single che aveva usato Facebook per avere dei bambini. Ora, non so se ho fatto la cosa giusta per i miei figli, ma non mi pento dei miei bambini, sono la cosa più preziosa della mia vita”, ha concluso la donna.