Ambiente & Veleni

Accesso dei cacciatori ai fondi privati: un referendum dimenticato che ora torna alla ribalta

Ricordo bene, diversi anni fa, Gian Luca Vignale, allora assessore alla Regione Piemonte, affermare che il cacciatore era come il medico: curava la natura. Forse, senza volerlo, Vignale forniva un avallo a quella norma del Codice Civile, l’art. 842, che recita: “Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità. Per l’esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario del fondo.”

A tacere del fatto che la norma fa un distinguo tra cacciatori e pescatori del tutto ingiustificato, e che si potrebbe anche obiettare sulla legittimità ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, ma, sempre rimanendo nell’ambito costituzionale, è davvero quantomeno singolare tale norma alla luce dell’art. 42 della Carta, che così recita: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.” Se la proprietà privata è garantita e tutelata dallo stato e limiti possono essere posti solo in funzione sociale, ne dobbiamo evincere che il cacciatore esercita una funzione sociale, un po’ come il medico di cui sopra.

Ma al di là delle disquisizioni di carattere legale, diciamoci la verità: la disposizione dell’art. 842 è tanto antistorica quanto odiosa. È per tali motivi che nel 1990 e nel 1997 si votò con la procedura referendaria sulla sua abrogazione, ma non si raggiunse il quorum pur essendoci una valanga di sì (aperta parentesi: che fine ha fatto la proposta del M5S di abolire il quorum nei referendum? Chiusa parentesi). E veniamo all’oggi, in cui si riparla di referendum abrogativi.

Tutti avrete letto o sentito parlare di quello sull’autonomia differenziata, che ha già largamente superato la soglia richiesta delle 500mila firme. Ma si tace su altre richieste referendarie che sono state depositate, e una è, ancora una volta, quella dell’abrogazione del comma dell’art. 842 che consente al cacciatore l’accesso ai fondi privati, e del comma successivo. La richiesta di referendum è stata presentata da una minuscola associazione animalista: Rispetto per tutti gli animali. Questa minuscola associazione in realtà identica richiesta la propose nel 2021 e nel 2023, senza però raggiungere il numero richiesto di firme. Ora, con indubbia pervicacia, l’ha ripresentata e c’è tempo fino al 30 settembre prossimo per raggiungere le 500mila firme. Un’impresa titanica, apparentemente, ma non poi molto se si pensa che oggi è finalmente possibile firmare online tramite SPID, CIE o CNS, e non più recarsi in Comune o presso gli eventuali banchetti appositamente allestiti.

Ma chi sa della richiesta di referendum? Dove sono le grandi associazioni ambientaliste/animaliste, dato che della richiesta referendaria non possono non essere a conoscenza? Non è che non la appoggiano perché non parte da loro? Non è che continua ad esserci il vizio di piantare la bandierina, come spesso è accaduto in passato? Non è che si vogliono anteporre i propri interessi a quelli della collettività? E dove sono gli onorevoli che dicono di battersi in difesa degli animali? Nel nostro piccolo, la battaglia di Davide contro Golia la facciamo conoscere. Vedremo.