Sono sparite in sordina da un giorno all’altro. Le bandiere dei Paesi membri della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale non sono più in vendita. Negli affollati crocevia della città di Niamey, tra semafori claudicanti, vigili per regolare il disordinato traffico del rientro si vende di tutto. Datteri, pura acqua potabile in sacchetti di plastica, ciabatte di fabbricazione artigianale, guinzagli per cani inesistenti, giocattoli cinesi di plastica, gabbie per i canarini e persino copie in formato gigante del Corano.

Le uniche bandiere ammesse sono quelle degli Stati dell’AES, il Mali, il Burkina Faso e il Niger e, da qualche mese, bianca, blu e rossa a bande orizzontali, quella della Federazione Russa. Sulla altre si è applicata, senza alcune legge scritta, l’autocensura commerciale.

L’ordinanza del governatore della regione di Niamey ha recentemente annunciato una serie di misure per contrastare l’accattonaggio crescente nella capitale del Paese. I mendicanti saranno suddivisi e ricondotti ai villaggi di provenienza. Nei casi di recidiva questi ultimi saranno portati nelle zone di grande irrigazione del Paese e obbligati a lavorare, seppur non in modo ‘forzato’. In effetti il generale governatore spiega la mendicità, nazionale e internazionale dei bambini e donne soprattutto, con la pigrizia e la ricerca di soluzioni facili. La censura dei poveri non ha data d’oggi, purtroppo. Sembra una delle costanti della storia umana. Censurare i poveri, renderli invisibili invece di lottare contro le cause che producono la miseria è una strategia senza futuro. Nel frattempo si coltivano i talibé nelle strade.

‘La censura è il controllo della comunicazione da parte di un’autorità, che limita la libertà di espressione e l’accesso all’informazione con l’intento dichiarato di tutelare l’ordine sociale e politico’. Recita così la definizione ufficiale della parola in questione alla quale si può aggiungere che si tratta di una …’severa obiezione mossa alla condotta altrui: incorrere nella censura dei malevoli, critica, disapprovazione, biasimo e condanna’. Sono questi fattori che incidono nel modo di porsi in relazione con la ‘maggioranza’ più o meno silenziosa che spesso applaude il potere.

Com’è noto dagli studi di psicologia sociale, le persone seguono i dettami del pensiero dominante. Ricordava Karl Marx che ‘…le idee de la classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante’.

Capiamo perché ampie porzioni della ‘società civile’ del Paese, i mezzi di comunicazione, l’esercizio della giustizia, i sindacati degli insegnanti come quelli di altri lavoratori hanno, assieme a un’autorevole parte delle autorità religiose, integrato la narrazione dominante. Quando, appena un anno prima, le stesse giuravano fedeltà incondizionata alle autorità nel potere in quel momento. Suona edificante quanto rilevato dal giornalista maliano Mohamed Attaher Halidou in un recente post… “Se le libertà vengono confiscate, è perché l’opinione pubblica applaude agli eccessi totalitari e alle ingiustizie di ogni tipo senza capirle”. Confiscare è voce del verbo censurare.

“Se le libertà vengono confiscate, è perché gli artisti non hanno più ispirazione e preferiscono compiacere con discorsi demagogici lontani dalla loro arte, dalla bellezza, al servizio del pubblico. Se le libertà vengono confiscate, è perché gli intellettuali sono rimasti in disparte e hanno accettato il regno del pensiero unico, rendendosi complici della morte del pensiero e della riflessione nel Paese. Se le libertà vengono confiscate, è perché la classe politica ha pervertito la politica. Nessun ideale, nessuna convinzione, nessuna linea… Se le libertà vengono confiscate, è perché i leader religiosi sono diventati ciechi sostenitori del potere a scapito della parola di Dio e degli interessi delle vedove e degli orfani. In realtà, sono tutti d’accordo. Alleati del potere contro i più deboli”.

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