Cinema

È morto Alain Delon: addio all’attore sensuale, solitario e ribelle interprete del ‘Gattopardo’, ‘La piscina’ e ‘Rocco e i suoi fratelli’

Delon irrompe nel cinema, non lo scala. Lo attraversa, lo riempie, lo devia, lo rende paradossalmente contenitore della sua erotica, intensa presenza

“Un viso prima di una persona, un personaggio a tutto tondo prima ancora che un’artista”. Alain Delon è morto ad 88 anni. Incarnazione dell’attore per eccellenza, divo cinematografico prima di tutto francese (con Hollywood non ci fu mai feeling, ricambiato) riconosciuto e riconoscibile in ogni angolo del mondo (in Giappone stravedono per il suo Zorro di Tessari), Delon è stato, e rimarrà, una figura sensuale e irresistibile, come del resto un uomo solitario, irrequieto, ribelle. Di fondo la sua emersione da La piscina di Jacques Deray (1969), in costume da bagno, grondante stille di acqua dal corpo, avvinghiato a bordo piscina a Romy Schneider (sua compagna dell’epoca e amore turbolento) è una sorta di consacrazione aurea, spettacolare, indiscussa, totale di un attore che si mostra nella sua bellezza fisica naturale e semplice, come nessuno fino ad allora, nemmeno per i giganti americani.

Delon irrompe nel cinema, non lo scala. Lo attraversa, lo riempie, lo devia, lo rende paradossalmente contenitore della sua erotica, intensa presenza. Si è detto nel tempo che il ragazzino tornentato, brutti voti a scuola, finito nel collegio di suore, abbandonato dal padre, soldatino insubordinato in Indocina (passó più tempo nelle galere dell’esercito che al fronte), commesso tuttofare, debba tutto ai registi italiani degli anni sessanta-settanta. Certo, la testardaggine amorevole di Luchino Visconti che lo volle alle primissime armi protagonista lucano e boxeur in Rocco e i suoi fratelli (1960) poi nobile rampollo siculo in Il Gattopardo (1963), o Michelangelo Antonioni che lo disegnó architetto in L’eclisse (1962), ritagliarono a Delon quel palco intellettuale e raffinato del cinema d’autore italiano che probabilmente non gli apparteneva per indole. Perché pur essendo figure ribelli e tormentate (metteteci pure anche il supplente riminese e il sui cappotto cammello in L’ultima notte di quiete di Valerio Zurlini, 1972), Delon la sua carriera, il suo personaggio pubblico che esonda dallo schermo se lo costruisce tutto in Francia, sul filo di uno star system che flirta con la Nouvelle Vague (negli anni ottanta ci sarà pure una passerella omonima per Godard), ma che si afferma popolarmente nel cinema commerciale, raffinato, di genere, fin da subito.

Grazie a quel Tom Ripley di Delitto in pieno sole (1960) tratto dalla Highsmith (rifatto da Minghella più di 30 anni dopo con Matt Damon al posto del mostruoso Delon), parte che l’attore strappó al regista Renè Clement, Delon inizia la sua rincorsa all’icona nazionale di Jean Gabin (che coronerà lavorando con lui in Colpo Grosso al casinò, 1964) come il dualismo col guascone e mai troppo amico, anzi vero e proprio rivale, Jean Paul Belmondo. Con questo reciterà in Borsalino (1970), un gangster movie giocoso con il celebre personaggio di Roch Sifredi, grazie all’iniziativa personale della casa di produzione di Delon – Adel Productions. È comunque la figura di un silente e misterioso cavaliere solitario, un Clint Eastwood declinato in infallibile tormentato doppio gangster/poliziotto in fuga, nascosto, isolato socialmente che gli costruisce addosso Jean Pierre Melville nei suoi polar – Frank Costello faccia d’angelo, I senza nome, Un flic – a diventare qualcosa di culturalmente indelebile nei decenni. Una doppiezza filosofica e visiva che raggiunge il suo apice con il Mr. Klein di Joseph Losey (1975), dove interpreta un affarista senza scrupoli nella Parigi occupata che scopre di aver un doppio dallo stesso nome ma ebreo perseguitato dai nazisti. Graxie poi alla sua Adel, Delon cercherà definitivamente, fin dai settanta, una sua autonomia produttiva e artistica, grazie ai polizieschi girati da Jose Giovanni e dal fidato Deray. Dicevamo personaggio pubblico a tutto tondo il fumantino Delon.

Amico di Jean Marie Le Pen, apertamente gollista, ma anche vicino negli anni novanta a posizioni politiche più progressiste come quando appoggerà la candidata sindaca ecologista di Marsiglia, Rubirola. Un’andirivieni che in Italia sarebbe già bollato dicotomicamente, ma che in Francia ha assunto una valenza più libertaria, da battitore libero, da uomo di mondo che esterna ciò che pensa e vuole quando gli pare e piace, compreso quell’amore per cani e gatti di cui si circondava e che amava aiutare con laute donazioni modello Brigitte Bardot. Turbolente pure le relazioni sentimentali dell’inteprete di Scorpio e Zorro. Dicevamo della relazione con la Schneider: amore, distacco, di nuovo amore, e infine la morte di lei che stronca ogni affetto e rimane ricordo. Anche se Delon enumera rapporti con le donne come avesse un pallottoliere.

Le relazioni con Nico (dalla quale ebbe un figlio, Christian, ma riconosciuto) e Dalida; la prima moglie Nathalie (mamma di Anthony), poi Marisa Mell, la lunga liason con Mirelle Darc, Sylvia Kristel, Sydney Rome, Dalila di Lazzaro, Anne Parillaud (l’interprete di Nikita), la modella olandese Rosalie Von Breemen (mamma di Anouchka), e l’ultima compagna ufficiale, la giapponese Hiromi. Da questo immenso florilegio di relazioni si sviluppó anche il complesso rapporto con i propri figli trascinatosi fino ad una vera e propria guerra familiare per la tutela dell’oramai vecchio e malato Alain. Colpi bassi, testimonianza fratricide, carte bollate e denuncia che hanno portato da una parte i due figli maschi e dall’altra l’ultimogenita Anouchka. Così mentre Delon anziano e malato di cuore, dichiara che vorrebbe morire, un tribunale gli affibbia pure un tutore per il suo patrimonio. Delon, infine, non ebbe mai un vero e proprio riconoscimento “alto” della sua immensa e popolare carriera d’artista: solo un Cesar per Notre histoire nel 1985.