Sono circa 40, per il momento, i campioni di dna prelevati dagli inquirenti che indagano sull’omicidio di Sharon Verzeni, la 33enne uccisa a coltellate la notte rea lunedì 29 e martedì 30 luglio mentre passeggiava nei dintorni della sua abitazione a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo.

Il confronto con le tracce sul corpo di Sharon – Quelli raccolti sono profili genetici di familiari, abitanti della zona e soccorritori, questo anche allo scopo di escludere le tracce che non si rivelassero utili alle indagini per indentificare l’assassino, per esempio quelle lasciate da chi ha trovato e soccorso la donna la sera dell’omicidio. I campioni verranno analizzati dai Ris e confrontati con le tracce che riscontrate sugli indumenti della vittima, sui campioni prelevati durante l’autopsia e su quelli isolati dai coltelli recuperati durante le prime fasi dell’indagine.

Le parole del genetista – Probabilmente è già noto se le tracce appartengono a un uomo a una donna: “il confronto con altri profili genetici è infatti possibile solo se è stato fatto il profilo del dna”, osserva Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata, il genetista che nel 2014 per il caso di Yara Gambirasio aveva coordinato la mappautra genetica di quello allora era l’ ‘Ignoto 1’. “Da allora le tecniche si sono raffinate, ma i marcatori sono gli stessi – aggiunge Novelli -. Anche se in 20 anni ne abbiamo scoperti molti altri, quelli utilizzati dalla medicina forense devono essere in linea con quelli previsti dal modello standard, ossia con le analisi internazionalmente riconosciute ai fini dell’attribuzione di una traccia genetica a un campione di dna”.

Rispetto alle indagini sull’assassinio di Yara, però, c’è una differenza fondamentale nel numero dei testi condotti: “nel caso di Yara la situazione era molto difficile perché il colpevole avrebbe potuto essere una persona di passaggio”, dice Novelli. Per quel che riguarda Sharon Verzeni, invece, la ricerca è più mirata e l’analisi ridotta. “Analisi di questo tipo partono dal confronto con il profilo dei familiari, poi si calcola quanto il profilo individuale dedotto del Dna trovato sulla vittima sia frequente a livello di popolazione e poi ci si avvicina progressivamente“, conclude Novelli.

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