L’ondata di violente proteste anti-immigrati che ha scosso la Gran Bretagna ai primi di agosto sembra rientrata, grazie alla reazione molto negativa della maggior parte dell’opinione pubblica che ha organizzato contro-manifestazioni a supporto degli immigrati e a quella molto energica del governo. Oltre all’innalzamento dei livelli di sicurezza, con oltre 6000 agenti impegnati nella prevenzione e repressione delle altre proteste programmate, Keir Starmer si è impegnato a combattere con nuovi strumenti la disinformazione online che è stata determinante per l’esplosione di quelle violenze, ha mantenuto la promessa di processi rapidi per le quasi 600 persone arrestate, e le sentenze pronunciate finora sono piuttosto severe. Per i disordini violenti la legge vigente arriva ad un massimo di 10 anni di carcere: le pene comminate finora, anche in assenza di precedenti, vanno da un minimo di 20 mesi ad un massimo di 3 anni e 4 mesi per crimini come aggressione, vandalismo, assalto a pubblico ufficiale.
Quelle che rappresentano una completa novità sono però le sentenze per violenza o intimidazione online: per la prima volta, in applicazione della sezione Communications Offences dell’Online Safety Bill, la legge approvata dal parlamento nel 2023 per regolamentare limiti e responsabilità delle comunicazioni online, sono state comminate pene detentive fra i 15 mesi e i tre anni e 4 mesi di carcere per post social, con giudici che hanno stabilito un rapporto diretto di causa-effetto fra l’online e le devastazioni anche quando gli autori di quei post non vi hanno partecipato. Ha fatto particolare scalpore il caso di Julie Sweeney, 53 anni, condannata a 15 mesi per un post su Facebook in cui incitava al rogo di una moschea. La donna, che era incensurata e si occupa del marito invalido, aveva cancellato il post dopo poche ore, ma il giudice ha ritenuto che la comunicazione rientrasse nella fattispecie di reato online “minaccia di morte o danno grave” previsto dall’Online Safety Bill.
In un altro caso Bradley Makin, 21 anni, è stato condannato a due anni per aver postato su Instagram un video di se stesso che incoraggiava le proteste di Sunderland; Tyler Kay, 26 anni, è stato condannato a 38 mesi per aver istigato all’odio razziale invocando sui social media il rogo di un hotel che ospitava richiedenti asilo; un’accusa simile è costata 20 mesi di detenzione a Jordan Parlour, 28 enne di Leeds.
Pene detentive così severe per post social, per quanto aberranti, hanno alimentato una serie di ulteriori giudizi e pregiudizi. Gli ultimi governi conservatori hanno approvato leggi effettivamente molto restrittive del diritto di manifestazione, come il Public Order Bill: gli spazi legali di protesta sono sempre più limitati e le pene detentive molto penalizzanti, come nel caso degli attivisti di Just Stop Oil condannati a pene fra i 4 e i 5 anni per aver pianificato di bloccare, pacificamente, l’accesso ad una autostrada. Il Labour ha ereditato questi provvedimenti, e non ha avuto il tempo di emendarli, ma non è affatto chiaro se intenda farlo. Di conseguenza, l’applicazione di queste misure, e in particolare nel caso delle comunicazioni social, ha dato la stura ad accuse di censura della libertà di opinione.
Dibattito che è diventato transatlantico dopo l’intervento di Elon Musk, proprietario di X, Tesla, SpaceX, detentore di importanti contratti con la Difesa degli Stati Uniti e sostenitore di Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali Usa. Nella prima fase dei riots, Musk ha usato tutto il suo potere su X per condannare il governo laburista appena insediato: in un tweet ha dichiarato che la guerra civile nel Regno Unito era inevitabile, ed ha poi accusato Starmer di non essere in grado di gestire l’immigrazione illegale. Quando il governo ha reagito con il pugno duro nei confronti dei manifestanti, offline ed online, ha rilanciato parlando appunto di fine del diritto di opinione, e tentando di rappresentare il Labour come forza politica autoritaria e liberticida.
Il fine sembra chiaro, a giudicare dalla reazione di molti utenti americani di X: presentare il come Labour un assaggio di quello che accadrà negli Usa se Kamala Harris vince le elezioni. I “patrioti” non potranno opporsi ad una immigrazione illegale indiscriminata, ogni dissenso, anche online, verrà represso, e sarà la fine della libertà tanto cara agli statunitensi. Questa, almeno, la propaganda di Mr Musk.
Ma il contesto politico e sociale britannico è molto diverso, meno polarizzato e meno radicale di quello Usa: lo dimostrano sia le manifestazioni pro-immigrati, che hanno arginato quella ondata nera e i suoi mandanti, sia l’attivismo dei legislatori per limitare gli effetti negativi di quella disinformazione, a partire da una distinzione chiara e necessaria fra libertà di opinione e reati di opinione. In questo articolo per il media indipendente Byline Times, Peter Jukes approfondisce i paralleli fra le rivolte britanniche e il clima pre insurrezione a Capitol Hill negli Usa, e suggerisce che gli stessi attori che hanno fomentato quella violenza stiano gettando le basi per replicarla se Donald Trump non vincerà le elezioni presidenziali.