Le telefonate de "l'Amerikano" furono 16, tutte da cabine telefoniche
La scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei misteri più oscuri e complessi del nostro Paese. Mentre ci sono tre inchieste aperte per far luce sul caso della 15enne vaticana scomparsa nel 1983, proponiamo una ricostruzione accurata delle prime fasi della vicenda, con audio dell’epoca per concessione di Pietro Orlandi.
L’ultima telefonata
Settembre 1983: è il mese in cui era previsto il matrimonio di Natalina Orlandi. Emanuela avrebbe dovuto sostenere gli esami di riparazione di latino e francese. Giulio Gangi si presentò a casa degli Orlandi annunciando che “entro 10-15 giorni” Emanuela sarebbe tornata, tutto si sarebbe risolto. Niente di tutto questo accadde. Il 21 ottobre del 1983 l’Amerikano telefonò all’avvocato Egidio ed indicò i luoghi dove poter trovare due comunicati. Uno in uno stabile di via della Conciliazione presso l’ambasciata Canadese e l’altro in un furgone postale di Piazza S.Pietro. Si trattava di un messaggio scritto a mano che riguardava Emanuela Orlandi. Il giorno dopo l’avvocato chiese il silenzio stampa. A novembre Egidio scrisse una lettera al Sostituto Procuratore Domenico Sica chiedendo se assecondare o meno le richieste dei rapitori in quanto “[…] mi trovo di fronte ad una decisione da prendere che esula dal mandato conferitomi e per la quale non ho veste né poteri né responsabilità […]”.
In una delle ultime telefonate l’Amerikano disse all’avvocato Egidio: “Questa è una situazione che dura da molti mesi. Noi abbiamo contatti personali con il Vaticano c’era la possibilità di avere la Orlandi in quanto cittadina Vaticana. Lei non nomina neanche la Gregori ma solo la Orlandi perché ne fa un fatto di prestigio in quanto lei è cittadina vaticana. Non dovrei dire questo in quanto siamo ascoltati”. L’avvocato replicò dicendo che quel telefono era sicuro ma l’amerikano non gli credette. Gli disse: “Lei convochi una conferenza, smentisca tutti gli altri. Ci sono delle vittime già, lei comprenderà con il tempo. Tutto è stato trattato con molta superficialità. C’erano trattative personali che non dovevano essere (diffuse?). Le daremo una grossa possibilità a cui lei tiene se smentisce gli altri elementi. Non dichiari più che la Orlandi è viva, l’ultimatum è scaduto. Le darò una cosa che lei chiede, le darò una possibilità, si fidi di me. Promesso, confidi nel tempo. Devo andare o andrò incontro a uno spiacevole incontro”.
Purtroppo, dopo svariate telefonate, l’americano uscì di scena senza mantenere la sua promessa. Le telefonate de “l’Amerikano” furono 16, tutte da cabine telefoniche. Vennero anche individuate dalle Forze dell’ordine che però non riuscirono a prendere l’anonimo ricattatore e la sua identità resta ancora un mistero nel mistero più grande della scomparsa di Emanuela Orlandi. Le indagini iniziali del Sisde su Emanuela Orlandi vennero riassunte in un rapporto redatto in gran parte da VincenzoParisi (vicedirettore del Sisde). Datato 14 novembre 1983, questo documento venne reso pubblico dieci anni dopo, sul quotidiano l’Indipendente. Dal rapporto si legge che secondo i Servizi Otto comunicati (23 percento) sono stati firmati da due sedicenti gruppi (il Fronte anticristiano Turkesh e Phoenix) che, allo stato delle indagini, non sembrano essere implicati nella scomparsa della ragazza, ma soltanto nella gestione del caso. Successivamente Francesco Bruno (funzionario del SISDe dal 1978 al 1987) scrisse che nella relazione si alludeva anche al vescovo Paul Casimir Marcinkus come personaggio coinvolto nella vicenda. Marcinkus in quegli anni era, lo ricordiamo, Presidente dello Ior, la banca Vaticana. Sotto il pontificato di Karol Wojtyla il presidente della banca vaticana Marcinkus è rimasto sempre al suo posto, erogando forti finanziamenti al sindacato cattolico e anticomunista polacco, Solidarnosc.
Il giorno della vigilia di Natale del 1983, verso le tredici, il Papa si recò dalla famiglia Orlandi nel loro appartamento per una visita non ufficiale. Quel giorno, Papa Giovanni Paolo II offrì al fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, un posto allo Ior. Disse che la vicenda di Emanuela Orlandi era un caso di terrorismo internazionale ma non aggiunse mai il perché e ha portato questo mistero con sé.