di Simone Durante
L’intelligenza artificiale (AI) è spesso presentata come la prossima grande rivoluzione tecnologica, capace di trasformare radicalmente ogni aspetto delle nostre vite. Eppure, in Italia, c’è un aspetto critico che tende ad essere trascurato: la capacità dei cittadini di comprendere e utilizzare queste tecnologie avanzate. Secondo i dati più attendibili forniti dall’indagine Piaac-Ocse del 2019, in Italia il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Questo significa che quasi un terzo della popolazione non è in grado di utilizzare efficacemente le abilità di lettura, scrittura e calcolo necessarie per affrontare le sfide quotidiane, figuriamoci per comprendere il funzionamento dell’intelligenza artificiale.
Questo dato, tra i più alti in Europa, è eguagliato soltanto dalla Spagna e superato solo dalla Turchia, dove il 47% della popolazione rientra in questa categoria. L’analfabetismo funzionale in Italia è un problema profondo e complesso. Non riguarda solo la capacità di leggere un testo o di eseguire semplici operazioni matematiche, ma anche l’incapacità di interpretare, analizzare e utilizzare le informazioni in modo critico. In un contesto in cui le tecnologie digitali avanzano a ritmo sostenuto, questa carenza rappresenta una barriera significativa per la diffusione consapevole dell’AI.
Il problema è amplificato dalla scarsa diffusione della conoscenza riguardo all’intelligenza artificiale. Molti italiani, infatti, non sanno nemmeno cosa sia realmente l’AI, confondendola spesso con concetti vaghi o stereotipi fantascientifici. Questo disorientamento collettivo rende difficile, se non impossibile, un dibattito pubblico informato su come queste tecnologie possano (e debbano) essere integrate nella nostra società.
La mia diffidenza verso l’intelligenza artificiale non deriva da una posizione luddista o retrograda, ma dalla consapevolezza che, in un Paese dove l’analfabetismo funzionale è così diffuso, l’adozione acritica e indiscriminata dell’AI può portare a conseguenze nefaste. Senza una base solida di conoscenza e comprensione, rischiamo di consegnare strumenti potentissimi nelle mani di una popolazione che non è preparata a utilizzarli in modo consapevole e responsabile.
Inoltre, l’AI non è semplicemente una tecnologia “neutrale”. Le decisioni e le raccomandazioni prodotte da questi sistemi sono il risultato di algoritmi complessi che riflettono i bias e le priorità di chi li ha programmati. In una società dove gran parte della popolazione fatica a interpretare un semplice grafico o a comprendere un testo di media difficoltà, come possiamo aspettarci che vi sia un controllo critico e democratico su queste tecnologie?
È urgente, dunque, avviare un percorso di alfabetizzazione digitale e critica che coinvolga l’intera popolazione. È necessario spiegare cosa sia realmente l’intelligenza artificiale, come funziona, quali siano i suoi limiti e le sue potenzialità. Solo attraverso una maggiore consapevolezza e una diffusa comprensione critica possiamo sperare di trasformare l’AI in uno strumento al servizio della società, anziché in una forza che rischia di esacerbare ulteriormente le disuguaglianze esistenti.
L’Italia deve affrontare con urgenza la sfida dell’analfabetismo funzionale, se vuole sfruttare appieno le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale senza esserne sopraffatta.