È forte, dannatamente forte. E lo è stata ancora di più in quel primo agosto quando, sul tatami del Grand Palais Éphémère, ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi 2024.
Ora, che la sbornia di quel successo potrebbe essere passata, la judoka azzurra Alice Bellandi è tornata a parlare di quei bellissimi ricordi, che hanno emozionato in primis lei (e tutti noi abbiamo visto le sue lacrime durante la cerimonia di premiazione) e l’Italia intera. La 25enne si è confrontata con l’impatto mediatico enorme che la vittoria ha avuto in un’intervista a Vanity Fair. Soprattutto considerando come ogni suo gesto, dalla corsa verso la compagna alle lacrime sul podio, fosse passato al setaccio da chiunque.
“Le mie Olimpiadi? Non semplici, c’erano grandi aspettative. Ho fatto un grande percorso per vivere questa gara per me stessa, come se ci fossi solo io. Questa è la cosa che mi ha salvata. Ho lavorato con la mia mental coach per vivere l’evento come una gara senza il carico nervoso delle altre persone”, spiega la campionessa.
Perché vincere una medaglia olimpica non è da tutti, figurarsi l’oro: ci riesce solo una persona ogni quattro anni. Non una banalità, insomma. Ma per Alice è sempre stato “un valore personale incredibile. Racconta della mia storia. Quando ascoltavo l’inno ho visto passarmi davanti tutta la mia storia: vedere dove ero tre anni fa e dove ero invece in quel momento mi ha commossa”.
Sì, perché quella era una storia di riscatto: dall’oblio al trionfo. C’è qualcosa di più olimpico del proverbiale ‘non mollare mai’? Lo sa benissimo Bellandi, che tre anni fa “venivo da un quadriennio che mi ha logorato fisicamente e mentalmente – spiega la judoka -. Posso però dire che in questo dolore, frustrazione, paura e solitudine ho trovato la forza per essere dove sono oggi. Nel momento in cui ho guardato la bandiera italiana alzarsi, ho voluto ringraziare tutto quel vuoto, tutto quel dolore”.
I Giochi Olimpici di Parigi, probabilmente, sono passati alla storia per la narrazione del percorso, ritenuto, probabilmente, più importante di qualsiasi vittoria, che sia europea, mondiale od olimpica. “Certo, sei lì per vincere – racconta Bellandi -, ma a me faceva paura non riuscire a essere me stessa dopo anni passati a lavorarci. Sapevo che, se avessi portato la Alice libera, spensierata e gioiosa, avrei portato a casa solo grandi risultati”.
Anche perché, in fin dei conti, su quel tatami, la campionessa olimpica era sola, con i suoi pensieri, le sue speranze, le sue paure. “Devi essere in grado di cavartela da solo. In quel momento di buio tendevo sempre ad appoggiarmi, a pensare di aver bisogno di appoggiarmi a qualcuno. Dopo Tokyo ho lavorato tanto per imparare a bastare a me stessa”, spiega Alice. Che, però, dopo la vittoria è corsa verso il pubblico per baciare la sua compagna. “Non ho bisogno di qualcuno per essere qualcosa. L’amore non è bisogno, è condivisione. Io non ho bisogno della mia compagna, io la amo, mi piace stare con lei. L’amore non è dipendenza. E vale per una coppia, per l’amicizia, per lo sport, per il lavoro”.
“Galeotto fu il bacio”, per dirla in termini danteschi. Perché quel bacio è stato poi al centro del dibattito mediatico di quei giorni, anche e, soprattutto, per la presenza della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: “Non sapevo neanche chi ci fosse lì in quel momento. Quello che io dico a tutti è: ‘Ma se vincessi un oro olimpico quale sarebbe la prima persona che andresti a baciare?'”, si chiede Bellandi, che però ha ricevuto tantissime altre critiche. Sul suo corpo, sulla sua sessualità e sul fatto che, storicamente, quello del judo fosse un sport praticato da uomini. Ma lei ha saputo dimostrare il contrario: “Mi hanno sempre detto che faccio uno sport da uomini. Ne rido ma ho anche visto commenti su di me partendo dalla pugile algerina (Imane Khelif, ndr) che dicevano: ‘Ma la nostra italiana non è un uomo?’. Io rido dei leoni da tastiera”, conclude la campionessa olimpica.