Sindacati e azionisti “contro” negli Stati Uniti e un “ritiro” in Australia. Stellantis, il colosso dell’auto nato dalla fusione tra FCA e PSA, e il suo Ceo Carlos Tavares devono fare i conti con il mondo anglofono. Un problema non da poco, visto che il mercato americano e Jeep in particolare rappresentano la cassaforte del gruppo.

Oltre un secolo dopo il suo debutto, avvenuto nel 1923, Citroen, uno dei marchi francesi di Stellantis, ha ufficializzato con novembre la fine della commercializzazione di auto nuove in Australia, dove era arrivata vendere fino a 3.800 auto nell’anno del record, il 2007. Il mercato di “Downunder” è di quelli importanti: con 26 milioni di abitanti, nel 2023 ha superato quota 1,2 milioni di immatricolazioni (+12,5%). Il Doppio Chevron ha archiviato i primi sei mesi del 2024 con 74 registrazioni, una quarantina in meno di un costruttore di lusso e di nicchia come Ferrari. Praticamente inevitabile l’addio, anche se Citroen continuerà ad offrire ricambi e assistenza. E c’è chi ipotizza che anche Peugeot possa fare altrettanto, malgrado lo scorso anno sia cresciuta del 20% (2.516 unità targate). In luglio, in Australia, la casa del Leone ha promosso una significativa campagna di sconti, con riduzioni fino al 34%.

Negli Stati Uniti, delusi dai risultati finanziari, alcuni azionisti hanno promosso una azione collettiva nei confronti di Stellantis in seguito al crollo del titolo in Borsa. Presentata giovedì scorso presso il tribunale federale di Manhattan, l’istanza ipotizza che il gruppo abbia, scrive l’agenzia Reuters, “gonfiato artificialmente il prezzo delle sue azioni per gran parte del 2024 formulando valutazioni ‘straordinariamente positive’ su scorte, potere di determinazione dei prezzi, nuovi prodotti e margine operativo”. La verità sarebbe emersa lo scorso 25 luglio con la diffusione dei risultati, ossia con un utile operativo rettificato scivolato del 40% a 8,46 miliardi di euro, anche inferiore agli 8,85 stimati dagli analisti. La replica di Stellantis è stata immediata e lapidaria: “La causa è infondata”. A fine marzo le azioni valevano oltre 27 dollari, mentre all’ultima chiusura erano arrivate a meno di 14,6. I legali degli investitori hanno puntato il dito non solo contro la responsabile delle finanze del gruppo, Natalie Knight, ma anche contro lo stesso Tavares.

Proprio negli Stati Uniti il manager portoghese è finito nel mirino di Shawn Fain, capo del sindacato United Auto Workers (UAW), che in un video di due minuti e mezzo ha osservato come “le vendite sono in calo, i profitti sono in calo e la retribuzione del Ceo è salita davvero di parecchio (quasi 36,5 milioni di euro per il 2023, ndr)”. “Il problema non è il mercato: le vendite di automobili di GM e Ford sono cresciute. Il problema non sono i lavoratori del settore automobilistico, il problema è quest’uomo, Carlos Tavares”, ha accusato Fain, proprio mentre il suo vocale era coperto dalle immagini del Ceo, che solo qualche mese fa in Germania, in occasione delle celebrazioni dei 120 anni di produzione automobilistica di Opel aveva elogiato la sigla delle tute blu tedesche, la IG Metall.

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