Ho letto con molto interesse l’ultimo lavoro del grande giornalista con le bretelle (spesso rosse) Federico Rampini Il nuovo impero arabo, editore Solferino. Preciso subito a scanso di equivoci che non condivido nulla o quasi del pensiero di Rampini, soprattutto da quando la sua torsione verso destra ha assunto ritmo e progressione impressionanti. Dell’ex vecchio redattore di Rinascita, fervente berlingueriano, che leggevo sul finire degli anni Settanta non è rimasto più nulla.
Già allora però s’intuiva, in lui, l’inizio di un’attrazione crescente per le ideologie neoliberali – erano gli anni del duo Thatcher-Reagan – introiettate pochi anni dopo dal duo Clinton-Blair e le loro fatali terze vie.
Non mi interessa qui scrutare le dinamiche del suo turbo revisionismo, ma in questo testo si condensano praticamente tutti gli stereotipi che la visione “orientalista” propria dell’intellighenzia occidentale ha storicamente introiettato (secondo le categorie interpretative di Edward Said) per analizzare e stigmatizzare il mondo arabo – ed in genere il sud del mondo – come inferiore rispetto alla civiltà occidentale.
Partendo da questa incrollabile convinzione, l’Autore sintetizza gran parte delle vicende mediorientali di questi ultimi quarant’anni, a partire dalla caduta dello scià Reza Palhavi del 1979 e dalla nascita della repubblica islamica in Iran, come una sequela di errori e nefandezze, in cui il Medioriente si è imbattuto, mentre l’Occidente (gli Usa) ha dovuto rispondere suo malgrado, di fatto sostenendo lo stato d’Israele come avamposto della civiltà, oltre che con le guerre che si sono succedute in questo lungo periodo.
Di tutto il mondo mediorientale, l’unico Paese che Rampini pone su un un piano diverso, almeno prospetticamente, ma con grande apertura di credito fin da ora, è l’Arabia Saudita (KSA Kingdom Saudit Arab) e il suo discusso e indiscusso leader Mohamed Bin Salman, notoriamente MBS.
Secondo l’Autore il modello di modernizzazione che il principe saudita ha sposato per il suo paese, un processo di relativa ma progressiva laicizzazione, lo condurrà ad essere un protagonista globale, sia dal punto di vista economico che politico. Addirittura Rampini ipotizza che lo stesso Iran potrebbe “mondarsi” dall’attuale dittatura religiosa di Khamenei, se potesse costruire una leadership modello MBS; insomma il principe come una sorta di demiurgo illuminato, a onta dei suoi metodi brutali per liquidare gli avversari, tipo il giornalista Jamal Khashoggi fatto a pezzi e sciogliere in qualche acido. Anche Putin, fautore di una nuova grande Russia, usa metodi analoghi per silenziare gli oppositori, ma nessuno e nemmeno Rampini, forse solo Salvini, si sognerebbe di indicarlo come modernizzatore e riformatore!
Dulcis in fundo per raccontare con ritmo veloce di grande firma, senza appesantimenti o superflui approfondimenti, citando fonti di altri analisti e colleghi a suffragio della sua tesi, riepiloga la storia del conflitto israelo-palestinese come una sequela di scelte errate di questi ultimi, a cominciare dalla guerra del 1947, fino all’assalto del 7 ottobre 2023 e all’attuale situazione. Un racconto in cui scompaiono tutte le responsabilità di Israele nell’occupazione coloniale di un Paese abitato legittimamente da un popolo e dall’imposizione a questo di un insopportabile apartheid.
Alla fine è chiara l’analisi dell’Autore: c’è un futuro in Medioriente ed è rappresentato dall’alleanza tra Israele ed Arabia Saudita, anzi per essere circostanziati tra Bin Salman e Benjamin Netanyahu, con la benedizione di Donald Trump rieletto presidente, ma il libro si è fermato ad aprile 2024 e non c’era ancora alla vista Kamala Harris.