Due concetti chiari. Il primo: “Non ci ritireremo per nessun motivo dal corridoio Philadelphi“. Il secondo, derivato dal primo: “Non sono sicuro che ci sarà un accordo” con Hamas. Incontrando una delegazione di familiari dei 105 ostaggi del 7 ottobre ancora trattenuti nella Striscia di Gaza, Benjamin Netanyahu non ha lasciato molto spazio alla speranza che la guerra finisca e i rapiti possano tornare a casa in tempi brevi. Il tutto nel giorno in cui le Israel Defense Forces hanno recuperato a Khan Younis, nel sud dell’enclave, i corpi di sei ostaggi.
Il ritiro dal corridoio Philadelphi, tra Gaza e l’Egitto, è uno dei punti chiave nelle trattative avviata la scorsa settimana in Qatar per arrivare a un cessate il fuoco con Hamas. Uno spiraglio si sarebbe potuto aprire convincendo Israele a ritirarsi almeno temporaneamente dal corridoio cuscinetto con l’Egitto, ma Netanyahu ha detto no: “Israele non lascerà in alcun caso i corridoi Philadelphi e Netzarim, nonostante le enormi pressioni per farlo”, ha affermato il premier israeliano secondo i racconti dei famigliari, perché si tratta di “asset strategici, sia militari che politici”. Il premier ha quindi ribadito alle famiglie che la guerra andrà avanti “finché Hamas non sarà distrutta e gli obiettivi saranno raggiunti”. Questo nonostante anche gli storici alleati degli Stati Uniti siano contrari a un’occupazione israeliana a lungo termine di Gaza, come ha specificato il segretario di Stato, Antony Blinken, a Doha, tappa della sua missione in Medio Oriente per spingere verso un’intesa. Il segretario Usa ha anche sottolineato che il tempo sta per scadere per raggiungere un accordo sul cessate il fuoco.
Le parole di Netanyahu hanno causato la rabbia delle famiglie, che ora lo accusano “di aver silurato la trattativa“. “Le affermazioni del primo ministro sono di fatto l’abbandono degli ostaggi al proprio destino”, afferma il forum. “Non stanno soffrendo, stanno anche morendo”, hanno detto quindi i familiari, riferendosi ai commenti del premier durante una riunione di gabinetto il mese scorso in cui affermò che gli ostaggi “stanno soffrendo, ma non stanno morendo”. E in serata centinaia di manifestanti hanno bloccato il traffico su Begin Road a Tel Aviv per protestare contro il governo. I manifestanti – riporta il Times of Israel – tengono in mano cartelloni con i volti delle sei persone i cui corpi sono stati recuperati nella notte a Gaza e marciano dietro uno striscione con la scritta “Netanyahu sta sacrificando gli ostaggi”.
Perfino alcuni funzionari coinvolti nei colloqui hanno accusato Netanyahu di star intenzionalmente sabotando i negoziati, con la dichiarazione “Israele non abbandonerà i corridoi Filadelfia e Netzarim in nessuna circostanza”. A riportarlo è l’emittente pubblica israeliana Kan che cita una fonte: “Il primo ministro sa che stiamo lavorando a soluzioni per Filadelfia e Netzarim prima del summit. Sa che ci sono progressi, e poi rilascia dichiarazioni che sono l’opposto di quello che ha concordato con i mediatori, per far saltare i negoziati”, ha dichiarato il funzionario.
Poche ore prima Joe Biden aveva addossato il potenziale fallimento dei colloqui all’organizzazione al potere nella Striscia. A poche poche dall’annuncio del Segretario di stato Usa, Antony Blinken, secondo cui Israele ha accettato il piano sulla tregua, il capo della Casa Bianca aveva affermato che l’accordo traballava: “Israele dice di poter trovare una soluzione – aveva detto Biden lunedì -. Hamas si sta tirando indietro”. Il movimento oggi ha ribaltato la narrazione americana: le parole di Biden sono “fuorvianti e non rappresentano la vera posizione del movimento che auspica arrivare a un accordo sul cessate il fuoco”, afferma Hamas in un comunicato accusando Biden di dare così “luce verde” al governo israeliano di proseguire la guerra a Gaza e “commettere altri crimini contro i civili” palestinesi.
Una fonte del movimento ha ribadito che la milizia palestinese ha respinto l’ultima “proposta ponte” degli Stati Uniti, quella di cui ha parlato Blinken dopo l’incontro con Netanyahu lunedì perché contiene nuovi elementi aggiunti dal primo ministro israeliano, “nuove disposizioni che contraddicono il quadro precedente”, ritenute “inaccettabili”. I punti critici includono la possibilità che Israele si opponga al numero e all’identità dei detenuti palestinesi da liberare in cambio di ostaggi, la deportazione all’estero di un gran numero di questi detenuti, così come la perquisizione degli sfollati di Gaza che tornano alle loro case nel nord della Striscia.
La fonte sostiene anche che Hamas ha dimostrato flessibilità per quanto riguarda la tempistica del ritiro dell’Idf dalla Striscia, rinunciando alla sua posizione iniziale che chiedeva che avvenisse nella prima fase del cessate il fuoco, ma Netanyahu non avrebbe fatto lo stesso per quanto riguarda il ritiro dell’esercito dai corridoi Philadelphi e Netzarim. In una nota ufficiale diffusa oggi, Hamas garantisce di essere pronta ad accettare la proposta del 2 luglio, non la nuova modificata dal governo israeliano insieme agli Stati Uniti.
Il filo resta molto sottile, ma non si è ancora spezzato. Giovedì e venerdì si attende al Cairo il secondo round dei negoziati mediati da Usa, Egitto e Qatar, per tentare di riavvicinare le parti. Il team israeliano dovrebbe raggiungere la capitale egiziana, Hamas al contrario ha fin qui rifiutato di sedersi al tavolo, sostenendo che non c’è nient’altro da discutere. Sullo sfondo c’è l’ombra di una escalation regionale, con il cosiddetto “Asse della resistenza” (“Asse del male”, secondo Tel Aviv) guidato dall’Iran sempre pronto a sferrare un duro attacco a Israele, come rappresaglia per gli omicidi del comandante di Hezbollah Fuad Shukr e del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh. Lo hanno ricordato, dopo giorni di silenzio, i Pasdaran: “Il tempo è dalla nostra parte e il periodo di attesa per colpire potrebbe essere lungo”, ha affermato un portavoce delle Guardie rivoluzionarie di Teheran.
L’Idf bombarda una ex scuola a Gaza City: “10 morti” – Nel frattempo, martedì mattina l’aviazione militare israeliana ha annunciato di aver colpito in un raid un ex edificio scolastico in cui, secondo l’Idf, si nascondeva un comando di Hamas. Nell’edificio della Mustafa Hafez di Gaza City, secondo le autorità palestinesi, avevano trovato rifugio 700 sfollati palestinesi. Almeno dieci sarebbero rimasti uccisi nel bombardamento. Il bilancio delle vittime palestinesi dell’operazione militare israeliane lanciata in risposta al massacro del 7 ottobre ha superato i 40.173 morti, secondo le autorità sanitarie Gaza.
Israele: “40 terroristi uccisi a Rafah” – Le Israel Defense Forces hanno reso noto anche che decine di combattenti palestinesi sono stati uccisi in pesanti scontri nel sud della Striscia di Gaza. “Le truppe delle Idf continuano con la precisa attività operativa, basata sull’intelligence, nell’area di Tel al-Sultan a Rafah – affermano in una nota – Circa 40 terroristi sono stati eliminati in combattimenti ravvicinati e raid dell’Aeronautica”. Il braccio armato di Hamas ha rivendicato attacchi dei suoi miliziani contro obiettivi israeliani. I militari israeliani hanno riferito dell’uccisione di combattenti palestinesi anche in operazioni in altre aree della Striscia.
Sei corpi israeliani recuperati dall’Idf – L’Idf ha recuperato la notte scorsa a Khan Younis, nel sud di Gaza, i corpi di sei ostaggi, quelli di Alex Dancyg, 75 anni, Yagev Buchshtav, 35, Chaim Peri, 79, Yoram Metzger, 80, Nadav Popplewell, 51, Avraham Munder, 79. La valutazione dell’esercito è che 5 dei rapiti siano morti per soffocamento in seguito a un raid delle Israel Defense Forces di sei mesi fa nelle vicinanze del tunnel: il bombardamento provocò un incendio e il fumo invase la galleria sotterranea. I cadaveri dei guardiani, con relativi kalashnikov, sono stati trovati nello stesso posto. . L’operazione di recupero, nella notte tra lunedì e martedì, è scattata in seguito a informazioni di intelligence. I soldati sono entrati dentro 4 tunnel. In uno dei cunicoli, profondo dieci metri, hanno individuato un muro che sembrava instabile, l’hanno sfondato scoprendo un percorso nascosto che conduceva al luogo dove giacevano i corpi dei rapiti.
Liberati 33 detenuti palestinesi, media israeliani: “Atto di routine” – I media palestinesi hanno dato notizia del rilascio di 33 detenuti palestinesi, tra cui due donne, da parte dell’Idf nella Striscia di Gaza. I media israeliani precisano che l’iniziativa non è inusuale, perché Tel Aviv rinvia regolarmente palestinesi detenuti nella Striscia, per lo più dopo aver stabilito che non sono sospettati di attività terroristiche. Ma in passato è anche accaduto che alcuni sospettati di terrorismo considerati “a basso rischio” siano stati rilasciati per mancanza di spazio nelle carceri israeliane.
Ancora razzi dal Libano, senza vittime – Intanto Hezbollah ha annunciato di aver lanciato raffiche di razzi contro postazioni dell’esercito israeliano sulle alture occupate e annesse del Golan, come “rappresaglia” per gli attacchi subiti il giorno prima nel Libano orientale. Secondo l’Idf, si è trattato in totale di 100 tra missili e droni, alcuni intercettati e abbattuti, altri caduti in aree aperte senza provocare vittime. Una fonte locale ha riferito ai media che una casa a Matat è stata danneggiata da un razzo. Il ministero della Salute libanese fa sapere, invece, che tre persone sono state uccise in un raid israeliano nel sud del Libano: “Gli attacchi nemici israeliani al villaggio di Dhayra hanno ucciso tre persone e ne hanno ferite altre due”.
“L’Iran dietro l’attentato fallito a Tel Aviv” – La polizia e lo Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) ritengono che dietro il fallito attentato a Tel Aviv di domenica sera ci siano l’Iran e il suo alleato in Libano Hezbollah. L’ordigno, hanno spiegato le forze di sicurezza israeliane, era infatti particolarmente sofisticato e difficilmente sarebbe potuto essere assemblato nella Striscia. L’ordigno esplosivo di otto chili, che “è stato probabilmente costruito in Cisgiordania”, era “grande e significativo e se non fosse esploso all’esterno, avrebbe colpito molte persone”, ha detto la polizia. Era tuttavia anche difettoso, visto che è esploso prima di arrivare all’obiettivo. Secondo gli investigatori, l’attentatore voleva colpire quasi sicuramente una sinagoga vicina durante l’ora della preghiera, come hanno riferito le emittenti Channel 12 e Kan. Gli investigatori, secondo indiscrezioni, hanno una “pista significativa” ma per il momento la censura militare impedisce la diffusione di ulteriori informazioni. Lunedì Hamas e la Jihad islamica hanno rivendicato la responsabilità dell’attacco, sebbene non risulti che l’attentatore, un palestinese di Nablus, fosse affiliato a nessuno dei due gruppi islamisti.