Scuole chiuse per il caldo? Questo chiedono alcune associazioni di docenti e presidi al ministro Valditara e alle Regioni: valutare la possibilità di modificare il calendario scolastico “per evitare possibili malori sia per gli studenti fragili che per gli insegnanti, la cui età media, da statistica, è spesso elevata”. Si tratta di una situazione che richiama alla memoria i numerosi problemi emersi durante la pandemia di Covid-19, quando la chiusura delle scuole ha generato una serie di conseguenze psicologiche ed educative che ancora oggi pesano in modo significativo sugli studenti.
Durante la pandemia, la decisione di chiudere le scuole e di rifarsi alla didattica a distanza, in nome della tutela della salute pubblica, ha generato effetti collaterali preoccupanti.
Uno studio recente italiano ha rilevato un significativo aumento delle visite al pronto soccorso per emergenze psichiatriche tra bambini e adolescenti in corrispondenza della riapertura delle scuole. Gli autori dello studio hanno interpretato questi dati come indicativi del fatto che la scuola stessa possa essere una fonte di stress, capace di provocare crisi acute di salute mentale. Lettura a mio parere decisamente fuorviante se non viene considerata nel contesto delle misure di prevenzione attuate durante la pandemia.
E’ chiaro che sebbene il disagio psichico esistesse anche prima della pandemia, le chiusure prolungate e la didattica a distanza hanno esacerbato la situazione, contribuendo a un peggioramento della salute mentale degli studenti, soprattutto nei contesti più vulnerabili. Infatti nello studio mostrano che l’aumento della proporzione di visite psichiatriche era associato sia alla chiusura delle scuole che alla gravità del lockdown.
Inoltre la pandemia ha avuto un impatto devastante sull’apprendimento. Alcune analisi stimano che negli Stati Uniti l’equivalente di due decenni di progressi in lettura e matematica sia stato cancellato in soli due anni di scuola interrotta. Questo calo è stato particolarmente marcato tra gli studenti provenienti da famiglie a basso reddito e appartenenti a minoranze etniche, accentuando le disuguaglianze già esistenti. Si stima che circa un milione di studenti abbiano abbandonato la scuola durante la pandemia.
A livello globale, la situazione non è molto diversa. Secondo un rapporto del 2021 della Banca Mondiale, dell’Unesco e dell’Unicef, la generazione di studenti che ha vissuto la pandemia potrebbe subire una perdita economica equivalente a 17.000 miliardi di dollari in guadagni futuri, pari al 14% dell’attuale Pil mondiale. Negli Stati Uniti, avevano previsto che l’impatto economico delle perdite di apprendimento potrebbe raggiungere i 188 miliardi di dollari l’anno.
Tuttavia, non tutti i paesi hanno sperimentato lo stesso declino. In Svezia, ad esempio, gli studenti delle scuole primarie non hanno registrato perdite di apprendimento significative in lettura durante la pandemia, anche grazie al fatto che le scuole sono rimaste aperte per gran parte del tempo.
In Italia, la situazione è particolarmente preoccupante. Dalle nostre analisi risulta che il confronto tra i risultati dei test Invalsi degli studenti italiani prima e dopo la pandemia ha evidenziato un calo significativo nei punteggi di italiano e matematica, soprattutto tra gli alunni delle elementari. Questa perdita di apprendimento è stata più marcata tra gli studenti con un basso livello socio-economico e tra quelli con genitori meno istruiti, in particolare le madri. La didattica a distanza è stata vissuta male dagli studenti più bravi in matematica, mentre coloro che avevano difficoltà a socializzare hanno mostrato peggiori risultati in italiano.
Il contesto socio-economico ha influito non solo sulle prestazioni scolastiche, ma anche sulla condizione psicologica degli studenti. Durante l’anno scolastico 2022/2023, lo studio EuCARE ha osservato che gli studenti provenienti da contesti socio-economici più svantaggiati hanno mostrato maggiori problemi emotivi, di iperattività e difficoltà nelle relazioni con i pari.
Questi dati mettono in luce un aspetto spesso trascurato: le scuole non sono solo luoghi di apprendimento, ma anche spazi fondamentali per lo sviluppo emotivo e sociale degli studenti. Le chiusure prolungate e la didattica a distanza hanno privato molti bambini e adolescenti di queste esperienze cruciali, con conseguenze a lungo termine che potrebbero essere difficili da recuperare.
E’ evidente che la richiesta di rinviare l’inizio dell’anno scolastico a causa del caldo deve essere valutata con molta attenzione. Se da un lato le autorità scolastiche devono proteggere la salute degli studenti, dall’altro è essenziale evitare che si ripetano gli errori del passato, quando le chiusure indiscriminate hanno generato più danni che benefici. Il rischio è che, in nome di un astratto concetto di sicurezza, si trascuri il danno emotivo e educativo che queste decisioni possono provocare. L’istruzione è un diritto fondamentale, e la scuola è un pilastro insostituibile nella vita di ogni giovane. È essenziale che le autorità scolastiche, nell’affrontare situazioni di crisi tengano conto di tutte le implicazioni delle loro scelte.
Concludo ricordando che nonostante il diritto alla salute sia indiscutibilmente fondamentale, la giurisprudenza italiana ha sempre ricordato che non esiste una gerarchia rigida tra i diritti costituzionali. Tutti questi diritti concorrono, infatti, a garantire la formazione e lo sviluppo completo della persona, come sancito dall’articolo 3 della Costituzione. In particolare, il diritto all’istruzione, sancito dall’articolo 34 della Costituzione, riveste un ruolo cruciale: non solo perché permette l’accesso a una vita dignitosa e lavorativa, ma anche perché è uno strumento essenziale per combattere le disuguaglianze sociali ed economiche. Questo diritto, infatti, è fondamentale per garantire la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, favorendo il pieno sviluppo della persona e la partecipazione attiva di tutti alla vita politica, economica e sociale del Paese.
Per questo abbiamo vinto vari ricorsi al Tar per far riaprire le scuole durante la pandemia. La stessa Corte costituzionale ha ribadito che non esistono “diritti tiranni” che possano prevalere assolutamente sugli altri. Al contrario, tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione devono essere considerati in una relazione di reciproca integrazione, senza che uno di essi possa sovrastare gli altri in modo assoluto.