Una tragedia che diventa il pretesto di un’ondata di bufale razziste di movimenti dell’ultradestra. Come nel Regno Unito una quindicina di giorni fa così in Spagna dopo lo strazio dell’assassinio di un bambino di 11 anni, Mateo, accoltellato domenica mattina mentre giocava a calcio nel campo di una polisportiva di Mocejòn, un paesino di 5mila abitanti vicino a Toledo, in Castiglia La Mancia. Un fatto che ha sconvolto la Spagna e per questo ha coinvolto le più alte istituzioni, compreso il governo, con il premier Pedro Sànchez che ha espresso vicinanza alla famiglia e agli amici della vittima. L’omicida è un ragazzo di 20 anni, arrestato dopo 24 ore dalla guardia civil. E’ spagnolo, secondo la famiglia ha problemi psichici molto gravi. Anche per questo al momento non è noto il movente che ha spinto il giovane a ferire a morte il ragazzino mentre giocava con alcuni suoi amici. Ma l’onda nera delle verità artefatte è montata sulle reti sociali, falsità spacciate da vari utenti con oggetto i minori stranieri non accompagnati, additati subito come la causa di fatti come questo. Per questo la Procura approfondirà i profili di punibilità di queste fake news spacciate, è l’ipotesi dei magistrati, con lo scopo deliberato di suscitare sentimenti di odio, ostilità, discriminazione nei confronti di quelli che in Spagna chiamano con l’acronimo “menas”. Un fenomeno autoalimentato nel giro di poche ore e che ha costretto la prefetta di Castiglia La Mancia, Milagros Tolon, a fare “appello a tutti coloro che si sono approfittati di questa disgrazia umana, come è la morte di un bambino, per riversare tutto il proprio odio nelle reti sociali, tentando di incolpare persone diverse per colore di pelle o religione, a essere umani e a comportarsi come tali”. Il portavoce della famiglia dell’11enne, prima dell’arresto dell’assassino, aveva chiesto che non si criminalizzasse nessuno “per l’etnia, la razza, il colore, la fede”. Ma l’ondata di messaggi con fake news ha continuato a riempire vari canali web dell’estrema destra in cui rimbalzava la notizia che l’autore dell’accoltellamento del bambino fosse un “moro”, un islamico.

La questione dei minori non accompagnati in Spagna è da tempo un tema politico e, si può dire, propagandistico cavalcato dalla destra spagnola in particolare negli ultimi mesi. E’ stata una battaglia campale per Vox e per il suo leader Santiago Abascal che ne ha fatto un totem per il quale è uscito dalle giunte regionali in cui governava con i Popolari. Il governo Sànchez infatti aveva chiesto alle comunità sul territorio nazionale di collaborare per accogliere alcune decine di ragazzini sbarcati senza genitori. I neofranchisti hanno confermato la loro contrarietà a oltranza, fino ad abbandonare i posti di governo nelle istituzioni locali. Questo arretramento di Vox su posizioni di trincea è spiegato in parte dal fatto che il partito di Abascal è incalzato da movimenti minori emergenti alla sua destra, perfino più estrema, come La festa è finita, che alle ultime Europee a sorpresa ha eletto 3 deputati tra cui il leader Luis Pérez Fernández che tutti in Spagna chiamano Alvise, lo pseudonimo che si è dato.

Il fuoco social è divampato anche e soprattutto per effetto dei suoi post: ha gonfiato la sua forza politica grazie alle sue abilità borderline da blogger-influencer, ha 700mila follower, nelle prime ore dopo la morte del piccolo Mateo ha approfittato della (comprensibile) assenza di informazioni certe collegando insistentemente, compulsivamente, con un fiume di post, il fatto di sangue di Mocejòn con la questione dei migranti o altri fatti di cronaca spacciati come collegati ai “menas“. “La notizia di ogni giorno – scrive in uno di questi post – Un altro ragazzo di 16 anni ferito gravemente alla schiena da 5 minori non accompagnati in una strada di San Blas-Canillejas”, un quartiere di Madrid. Un incredibile, meschino doppio raggiro: non c’entra niente con il bambino di 11 anni accoltellato, ma addirittura, come ha ricostruito El Paìs, la storia di Madrid era quella di una rissa tra bande di ragazzi fermati dalle forze dell’ordine e riconsegnati ai genitori. Pèrez è arrivato a riferire un presunto virgolettato degli abitanti del paesino: “Il 5 agosto sono arrivati 50 africani in autobus. Siamo meno di 5mila persone e vivevamo tranquilli. Ora ci sono stupri, rapine e l’assassinio di un bambino di 10 anni”. Il castello di bugie è crollato oggi con la confessione dell’assassino: è spagnolissimo fin dal nome (Juan Pèrez, per paradosso proprio come il cognome di Alvise), il che non sposta di un millimetro la tragedia in cui è precipitata la famiglia della vittima e la comunità del piccolo paese. Il ragazzo, durante l’interrogatorio, ha detto agli investigatori di aver vissuto l’aggressione al piccolo Mateo e ai suoi amici come se fosse stata compiuta da qualcun altro, “dall’altro me”, come se fosse “in un videogioco“. Il padre dice che ha una disabilità intellettiva al 70 per cento. Un vicino racconta di aver avvertito il Comune e la guardia civil che il ragazzo stava diventando aggressivo già da qualche tempo. La storia vera di Mocejòn, insomma, potrebbe essere quella di un dramma sociale di una modesta famiglia di un paese di provincia che si è trovata senza l’aiuto di cui aveva bisogno.

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