L’ex assessore comunale veneziano Renato Boraso ha cominciato a raccontare il “sistema Brugnaro”, ovvero il meccanismo di potere che negli ultimi dieci anni ha gestito l’amministrazione lagunare, di cui egli è stato una pedina fondamentale, essendosi occupato di patrimonio e viabilità. Dopo essere stato arrestato per corruzione 35 giorni fa, l’esponente prima di Forza Italia, poi di Coraggio Italia, il partito del sindaco-imprenditore, si è trovato per otto ore faccia a faccia con i pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo.

Ha respinto le accuse da un punto di vista generale e su alcuni dei dodici capi d’accusa ha cominciato ad entrare nel dettaglio. Ha ribadito la tesi già espressa in passato, ovvero che i soldi ricevuti erano per consulenze professionali, non per illeciti o favori nell’agevolare pratiche pubbliche. Si tratta comunque di una somma imponente, oltre 800mila euro di presunte mazzette incassate o promesse, a fronte di fatturazioni per quasi 500mila euro. Il che significa che su quel denaro ha anche pagato le tasse.

Reggerà la “linea Maginot” di Boraso, che è assistito dall’avvocato Umberto Pauro? Per il momento la tecnica difensiva è questa, ma non è tale da consentirgli di chiedere il ritorno in libertà. Infatti, il suo legale ha annunciato: “Abbiamo iniziato ad affrontare le contestazioni. Boraso ha fatto un discorso generale ha spiegato alcuni degli episodi. Ci sono ancora molte cose da affrontare e spero che lo si possa fare in tempi rapidi”.

Boraso ha raccontato innanzitutto le sue attività professionali di consulente aziendale, che riguardano anche il settore immobiliare e agricolo. Poi ha ricostruito la sua presenza nei palazzi del potere veneziano, cominciati nel 1997 (aveva 29 anni) quando fu eletto per la prima volta in consiglio comunale. Da allora non ne è più uscito, diventando nel 2005 presidente del consiglio comunale e nel 2015 assessore, prima al Patrimonio e poi alla Mobilità, nei due mandati di Luigi Brugnaro.

Raccontando dei suoi rapporti con il sindaco e con gli apparati comunali, Boraso è entrato in un terreno minato, almeno per Brugnaro, visto che i pubblici ministeri e i finanzieri di Mestre hanno contestato al primo cittadino un’occupazione scientifica della struttura di comando. Non solo ha piazzato i suoi uomini nei punti nevralgici, ma avrebbe continuato a controllare le proprie attività imprenditoriali, con un “blind trust” (fondo cieco) assolutamente permeabile alle sue decisioni.

Proprio Brugnaro ha di fatto scaricato Boraso durante il consiglio comunale straordinario di agosto, in cui aveva difeso il capo di gabinetto e direttore generale Morris Ceron e il vicecapo di gabinetto Derek Donadini, indagati assieme a lui.

Ci sono molti capitoli scottanti, che riguardano Brugnaro, su cui Boraso potrebbe fare chiarezza. Ad esempio il vero tenore dell’intercettazione in cui il sindaco gli contestava di aver saputo che andava in giro “a chiedere soldi”. Per questo lo aveva avvertito di essere prudente e di non parlare al telefono. In consiglio comunale Brugnaro ha dichiarato che non sospettava nulla di tutto ciò che sta emergendo dall’inchiesta, affermando che se avesse avuto prove o sospetti fondati, avrebbe denunciato l’assessore.

Un altro capitolo è quello delle trattative per vendere Palazzo Papadopoli al magnate di Singapore, mister Ching Chiat Kwong, che aveva poi pagato 10,7 milioni di euro al Comune, a fronte di una stima di 14 milioni di euro. Boraso aveva incassato, sotto forma di parcella, 60mila euro. Ma c’è anche l’affare dei 41 ettari di terreni ai Pili (Marghera) di proprietà di Brugnaro, che il sindaco sperava di vendere per 150 milioni di euro allo stesso Ching, promettendo – secondo l’accusa – variazioni urbanistiche. Per questo è stata contestata al sindaco l’ipotesi di corruzione, per fatti che sono comunque datati nel tempo.

Boraso è arrivato all’interrogatorio in procura a Venezia proveniente dal carcere Due Palazzi di Padova. Da un mese studiava le carte e si è preparato le risposte da dare ai magistrati. Sono previsti almeno un altro paio di interrogatori, perché sono numerose e circostanziate le accuse di aver rastrellato soldi in un ampio arco di tempo. Sono soprattutto le intercettazioni telefoniche ad aver inguaiato l’assessore, i cui colloqui sono stati registrati negli ultimi due anni dagli uomini del Nucleo di Polizia Finanziaria della Guardia di Finanza di Mestre.

Dopo l’arresto avvenuto il 16 luglio e grazie alle numerose perquisizioni effettuate dalla Finanza, è stata acquista una mole imponente di nuove fonti di prova. Basti pensare che sono almeno un centinaio i cellulari o i dispositivi elettronici finiti sotto sequestro, assieme a documenti cartacei. L’inchiesta, quindi, è tutt’altro che conclusa, mentre Brugnaro resta al suo posto di sindaco, anche se le contestazioni delle minoranze continuano.

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