Tutto per una pomata da banco. La positività involontaria al doping per tracce di Clostebol di Jannik Sinner è solo l’ultimo di alcuni avvenimenti analoghi, precisamente 38, registrati in Italia negli ultimi anni. Tra condanne, squalifiche ridotte e assoluzioni, ecco quattro celebri casi sportivi – dal cestista Riccardo Moraschini al calciatore Fabio Lucioni – che hanno dovuto pagare la leggerezza non premeditata di alcuni loro familiari o collaboratori, come anche nel caso del tennista italiano, per una contaminazione senza dolo imputabile a un farmaco che può essere ancora venduto (solo nelle farmacie italiane) senza alcuna ricetta o consulto medico.

Il contatto indiretto di Moraschini
“All’inizio di questa vicenda ero tranquillo perché avevo tantissime prove della mia innocenza ma forse non sono state neanche guardate. Quando vieni accostato alla parola ‘doping’ ti mettono addosso un’etichetta e se non credono alla tua storia non c’è nulla da fare”, aveva dichiarato Riccardo Moraschini al Corriere della Sera. Andiamo con ordine. Il 6 ottobre 2021, il cestista italiano (all’epoca sotto contratto con l’Olimpia Milano, oggi alla Pallacanestro Cantù) era risultato positivo al Clostebol in seguito a un controllo antidoping. La Procura federale aveva, fin da subito, richiesto la sospensione dell’attività del giocatore per un anno. Richiesta a cui ha fatto seguito la condanna del Tribunale Nazionale Antidoping il 3 gennaio successivo. Essendo riconosciuto come atleta internazionale – in quanto appartenente al roster della nazionale olimpica durante i Giochi di Tokyo nel 2020 – Moraschini si sarebbe dovuto appellare al Tas e non a un istituto nazionale. Ma i tempi erano eccessivamente lunghi per poter giungere a una conclusione prima della naturale scadenza della squalifica inflitta. Durante l’udienza, la procura aveva ammesso il suo errore in primo grado. Il cestista aveva dimostrato la contaminazione involontaria per contatto indiretto del Clostebol: la sua fidanzata, infatti, aveva comprato (e utilizzato) uno spray cicatrizzante contenente questa sostanza. Dichiaratosi più volte innocente, Moraschini si era appellato alla Corte d’Appello che ha, però, giudicato inammissibile il suo ricorso senza che venisse valutata la correttezza o meno della condanna di un anno.

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Caironi e la necessità “per uso terapeutico”
Martina Caironi, campionessa paralimpica nei 100 metri alle Olimpiadi di Londra 2012 e nei 100 metri (oltre all’argento nel salto in lungo) a Rio 2016, ha rischiato di concludere anticipatamente la sua carriera per positività al Clostebol. I fatti risalgono al 17 ottobre 2019, quando l’atleta aveva eseguito dei controlli antidoping a sorpresa. La seconda sezione del Tribunale Nazionale Antidoping aveva immediatamente sospeso Caironi: la pomata era stata utilizzata per poter curare una ferita all’apice del moncone, un problema che – a causa delle protesi – è sempre più frequente. “Conosco la sostanza contenuta nella crema cicatrizzante che ho assunto: l’ho acquistata a gennaio dopo tre mesi di sofferenza per un’ulcera all’apice del moncone. Si tratta di una ferita aperta che nessuno farmaco è riuscito a richiudere”, aveva dichiarato all’Ansa. Una crema acquistata e utilizzata dopo il consulto del medico federale. Non un caso di doping, bensì un errore formale: la Procura Nazionale Antidoping aveva dunque riconosciuto la non intenzionalità dell’atleta ma la necessità terapeutica per l’uso del Trofodermin chiedendo comunque un anno di squalifica. Successivamente deferita, la campionessa paralimpica era tornata in pista il 9 marzo 2020.

L’assoluzione di José Palomino
Tredici, come il numero di mesi che sono serviti al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna per chiudere la vicenda doping e assolvere definitivamente José Palomino, calciatore argentino ex Atalanta, oggi al Cagliari. I fatti risalgono al periodo in cui vestiva la maglia del club bergamasco. Il difensore classe 1990 era stato inizialmente deferito da Nado Italia e rinviato a giudizio dal procuratore Pierfilippo Laviani il 26 luglio 2022, dopo essere risultato positivo al Clostebol durante i controlli medici nel precampionato. Dopo aver puntato fin da subito sulla tesi difensiva di un’assunzione involontaria tramite una pomata, la versione di Palomino – sollevata anche dal Tna – era stata poi confermata dal Tas. Nel frattempo, l’argentino era già tornato a disposizione di Gian Piero Gasperini nel mese di novembre dello stesso anno.

La squalifica di Fabio Lucioni
Il medico del Benevento, Walter Giorgione, aveva ammesso la sua piena colpevolezza (prendendo quattro anni di squalifica), ma non era bastata a evitare la squalifica di 1 anno – tolta provvisoriamente per tre gare grazie alla sospensiva tra il 23 dicembre 2017 e il 6 gennaio 2018 in attesa della decisione del Tribunale Nazionale Antidoping, prima di essere nuovamente fermato fino al settembre successivo – ai danni di Fabio Lucioni. Il calciatore, all’epoca capitano del Benevento, era risultato positivo all’anabolizzante Clostebol durante il controllo antidoping al termine della partita di campionato contro il Torino e assunta tramite una pomata applicata dal medico sociale della squadra dopo uno scontro di gioco. “Mi limito a dire di aver esclusivamente seguito le prescrizioni del medico sociale del Benevento e di aver esclusivamente assunto, in totale buona fede, farmaci terapeutici da lui indicati”, aveva dichiarato all’Ansa. Non è stata sufficiente l’assenza di colpevolezza per evitare la squalifica. E l’ammissione di colpa di Giorgione non è servita a far cambiare idea al Tas.

Il fenomeno italiano del Clostebol
Utilizzato in maniera massiccia dagli atleti della Germania dell’Est, l’effetto dopante del Clostebol è conosciuto da decenni. Oggi l’Italia è l’unico paese in Europa (se non al mondo) in cui capita ancora spesso di risultare positivi a causa di questa sostanza. Il motivo è semplice: lo steroide anabolizzante, utilizzato principalmente per velocizzare la cicatrizzazione di lesioni cutanee, è contenuto solo in una pomata e uno spray venduti proprio nelle farmacie italiane con il nome di Trofodermin. La crema dermatologica – che riporta visibilmente la scritta “doping” – può essere acquistata da chiunque senza ricetta medica. Un via libera che espone gli atleti – come nei casi sopracitati – dato il principio attivo dopante altamente trasmissibile. Un fenomeno italiano, a tutti gli effetti che, più volte ha rischiato di compromettere la carriera di professionisti per una contaminazione involontaria.

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