Diritti

Il naufragio del Bayesian occupa i media, dei migranti morti nel Mediterraneo si sanno solo i numeri

Dalla Costa Concordia, al Titan, imploso a quattromila metri di profondità, sino al recente naufragio della barca a vela Bayesian a Palermo. Naufragi che hanno occupato e occupano la cronaca e le aperture dei telegiornali. Il racconto dei soccorsi, la disperazione dei familiari, le storie dei morti e dispersi. Naufragi ed incidenti in mare in cui sono morte 43 persone. Pochi, però, si ricordano i naufragi che in questi ultimi dieci anni hanno causato la morte di oltre 30.000 persone del Mare Mediterraneo.

Sicuramente è chiara e visibile un’asimmetria tra questi naufragi e il dramma quotidiano delle persone migranti sulle rotte del Mediterraneo. Un’asimmetria sia nella copertura da parte dei media, ma anche per quanto riguarda le operazioni di soccorso, le tecnologie messe a disposizione per la ricerca e il recupero.

E allora perché la nostra attenzione di fronte alle due diverse tragedie del mare è diversa? Perché il dramma di migliaia di persone che scappano da guerre, povertà, instabilità non ha la stessa rilevanza?

La tentazione di cedere al moralismo è forte, ma non crediamo ci porti molto lontano. Se i due fenomeni sono stati e sono seguiti (indubbiamente) con un’attenzione mediatica diversa, dipende da meccanismi che hanno sicuramente a che fare con il concetto di “notiziabilità”, ma che derivano solo in parte dall’agenda che i media dettano quotidianamente.

Molti hanno visto la vicenda della Costa Concordia, del Titan e del Bayesian come “qualcosa di più vicino” rispetto alle vittime del Mediterraneo. La ragione? Non la sappiamo, ma forse perché ci risulta più facile identificarci con dei turisti occidentali rispetto a dei profughi che scappano da guerre e fame e che provengono da aree del mondo che consideriamo distanti. Anche se spesso sono dall’altra parte dello stesso mare in cui andiamo in vacanza.

Non è certo un meccanismo edificante, ma è una modalità che le scienze sociali conoscono bene. Nel saggio Stranieri alle porte, il sociologo Zygmunt Bauman in parte lo spiega. Afferma che l’avversione, o il disinteresse, nei confronti della sorte delle persone migranti deriva anche da una specie di “proiezione” che molti consapevolmente o meno fanno. Sfuggiamo le storie tragiche delle persone migranti perché proiettiamo in loro le nostre paure, quelle di una società e di forze che sentiamo di non riuscire più a controllare e che un giorno potrebbero chiedere il conto anche a noi. La paura inconscia è quella del “contagio” con la povertà, il lutto e la miseria.

Un altro elemento da non sottovalutare è quello della narrazione. Le nostre menti si nutrono di narrazioni, grazie alle storie possiamo dare un senso al passato e al futuro e orientare lo scorrimento del tempo. Le tragedie del Mediterraneo sono spesso composte di numeri. Ma siamo sicuri che non sia lo stesso anche per il dramma delle persone migranti?

Tra i fotogrammi che nessuno potrà mai scordare, c’è quello del cadavere di un bambino che giace inerme a pochi passi dalle onde. Si chiamava Alan Kurdi, era siriano e aveva appena tre anni. Venne ritrovato senza vita su una spiaggia turca il 2 settembre del 2015 e la sua storia mise il mondo di fronte alla tragedia immane delle persone migranti e del conflitto siriano. All’epoca la Cancelliera Merkel aveva appena aperto le porte a un milione di siriani e quella foto fugò ogni polemica. Alan smosse le coscienze perché aveva una storia, un volto, un corpo. Poteva essere nostro figlio, aveva solo avuto la sfortuna di nascere dall’altra parte del Mediterraneo nel mezzo di una guerra. Non era un numero, né uno dei tanti Alan invisibili che muoiono da anni nel Mediterraneo nella generale indifferenza. Perché, troppo spesso, la nostra mente si nutre di storie più che di dati disorganizzati.

Come Comitato 3 ottobre siamo impegnati per far sì che le vittime senza nome del Mediterraneo abbiamo, invece, un nome. Che ritornino ad avere un’identità. Che non siano più una sigla burocratica.

Queste vicende da una parte ci fanno capire che abbiamo le competenze, le tecnologie per poter organizzare queste operazioni di recupero e salvataggio per tutti i naufragi e ci fanno capire quanto sia importante non parlare di numeri, ma di persone e storie.

https://www.comitatotreottobre.it/progetto-dna